Antonietta Benagiano, 'Gli angeli' di Pasanisi contro la omologazione. Intorno al romanzo pubblicato presso Ripostes

Il romanzo di Roberto Pasanisi nell'Io narrante, emblema della condizione in cui sperduto naviga l'uomo presente con lo sguardo dolorosamente nostalgico a bagliori lontani, inafferrabili, segna la sconfitta dell'itinerario cognitivo. E' venuta a mancare l'ancora salvifica ma anche la forza di una costruttività tutta interiore, che trascenda la fisicità. Il pensiero 'meditativo' e 'poetante', presente in tante pagine dove il linguaggio si fa filosofico e lirico-simbolico scoprendo la solida cultura del nostro Autore e insieme la sua natura e sensibilità poetica, non salva l'uomo che s'è affacciato al nuovo millennio senza l'angelo e quindi senza poter egli stesso farsi angelo, con una distanza abissale dalle certezze medievali, più vicino alla visione tragica della colpa e del male, propria del romanticismo, incapace nella sua ricerca di accettare la realtà. Quest'opera, in uno stile che pur nella modernità non disdegna ipotassi e finezze lessicali invise allo schematismo espressivo e alle innovazioni linguistiche di povertà di tanta letteratura contemporanea, potrebbe essere letta come monito ad analizzarsi per ritrovare la via della diversità/salvezza.
del 06/03/09 -

"Gli Angeli", è l'ultima proposta narrativa di Roberto Pasanisi, italianista, scrittore, editore, psicoterapeuta, oltre che Docente universitario e Direttore dell'Istituto Italiano di Cultura di Napoli, della rivista "Nuove Lettere" e del CISAT (Centro Italiano Studi Arte Terapia), un intellettuale che ha al suo attivo numerose pubblicazioni in svariati generi letterari.
Evidenziamo, in primis, la lirica posta in apertura dove in quel volto femminile atteggiato ad "una sapienza gentile", nel cenno della mano, anch'essa "gentile", che sollecita a seguire "nell'eternità", è già annunciato il tema che verrà nel romanzo portato avanti con un'architettura tutta particolare.
S'intersecano varie storie ed esse sono nel tempo e nello spazio, almeno sotto l'aspetto della 'recherche', soltanto apparentemente distanti dall'Io narrante, con il quale il Pasanisi apre il romanzo e lo chiude nella sconfitta della "diversità" vista come possibilità di "verticalità", vale a dire di quella conoscenza cui il pensiero, e non solo quello occidentale, dagli albori si è sempre volto con una tensione che è insopprimibile anelito a dare senso al proprio esistere. Difficile a cogliersi in maniera razionale, possibile per il nostro Autore, così addentro nei meandri della psiche, solo attraverso la emozionalità che la bellezza dona nella "epifania d'un attimo".
Il commento ad un personaggio, all'interno di una delle storie nelle quali vaga la fantasia sognante del narratore, ci appare emblematico ad una chiarificazione del filo rosso che percorre la narrazione dal suo avvio alla fine, il quale, tra disamine di una realtà denaturante le libertà più autentiche e visioni oniriche che di quella sono il riflesso, attraversa i vari piani narrativi, fluisce tra speranze, nostalgie, malinconie e pianto, a dimostrare l'impossibile salvezza in una società dove l'individuo si abitua a considerare normali "gli imperativi del sistema" e perde nella "omologazione maschio-femmina" la speranza di ritrovarsi.
Quel luogo, vien detto, "che una volta era oltre il cielo, e che ora è dentro di te, con un desiderio triste e struggente, inappagabile come la vista di Dio" è ricerca della parte femminile del proprio sé, la quale sola può porsi a salvezza dell'uomo. Pertanto "non è vero che gli angeli non hanno sesso: l'angelo è una figura femminile... in un senso assoluto, che puoi comprendere solo in quei momenti della vita in cui il senso delle cose ti si squaderna per un attimo davanti a te nella sua più completa purezza... E solo allora sei uomo."
E' la "verticalità" ricercata da parte di chi "sulla terra non riesce ad ambientarsi del tutto" ed ha coscienza della nullità del suo passaggio se foscolianamente non lascia impronta d'arte o 'eredità d'affetti'.
Il Kid, solitario eroe da film western, ormai fantasma in questa nostra società che vive ben altra solitudine, e Nathaniel, novello cowboy sulla Harley Davidson, eroico difensore della bellezza, ipostasi anch'essi del sogno di conoscenza, sono parte dell'Io narrante e al tempo stesso da lui distanti poiché hanno incontrato la "diversità" e riescono per essa a dare senso alla loro morte.
L'Io appare, invece, sin dall'incipit delineato in una disarmonia diversa, quella in cui è caduto e permane l'essere barcamenantesi tra etiche speciali, sostanzialmente portato a frantumarsi, più che mai bisognoso dell'ancora di salvezza, di un angelo che lo guidi, dal momento che è imprigionato in un pensiero 'debole', nonostante i numerosi tentativi di ricomposizione metafisica, da Maritain a Gilson, a Marcel e altri, nonostante l''oltrepassamento' di Heidegger come possibilità di creare un nuovo senso.
In questo romanzo l'Io è un soggetto "lucido" che non riesce ad accettare completamente la sua lucidità, abbandonerebbe in tal caso l'aspirazione "verticale" per una "orizzontalità", normalità, piattezza; né riesce a proseguire nella dimensione del sogno, ad abbandonarsi del tutto ad essa con una speranza che escluda la sofferenza.
L'Autore delinea molto bene la sofferenza, anzi diremmo quasi il masochismo tutto particolare della società contemporanea, la sua distanza dalla luce/salvezza, di cui non potrà mai farsi completamente parte.
Il sogno dell'Io narrante non è l'annullamento del progresso ma la 'concordia oppositorum', il funzionamento insieme di "scienza e tecnologia", di "religione e umanesimo", Dio che presieda all'"orchestra d'archi" dei computer. Ma certe visioni oniriche, con l'intrigo di caverne sotterranee che non si sa dove possano portare, sono emblema e metastasi della sua "anima oscura", un metareale popolato di fantasmi che accompagnano il quotidiano muoversi alla ricerca di una 'kalokagathia' che possa dare senso all'esistere.
Può, quasi per miracolo, la bellezza materializzarsi in una "nube di capelli", apparire visione salvifica anche nell'angolo/oasi del salone di una banca architettonicamente e tecnologicamente all'avanguardia, e dare ai fantasmi e alle angosce una "scarica elettrica", lasciando che l'estasi rompa la maledizione di quel "pozzo nero", del mare immenso, proposto sin dall'inizio della narrazione nella cupa visione che imprigiona senza speranza di avvistare la terra/salvezza.
Ma non possono "i bagliori sublimi dell'eterno" essere nella caducità: con questa non si perviene alla conoscenza e quindi alla eliminazione della colpa, per la quale necessita il kierkegaardiano salto della fede, l'abbandono nel mistero che ci costituisce.
Una mente che analizza spaventosamente è "una progressiva discesa all'inferno"; la sottigliezza razionale annulla ogni emozione, non fa percepire l'insieme, e nella sua lotta contro il nulla approda solo al senso della propria nullità.
Il romanzo si chiede se nel mare di bruttezza e volgarità possa l'emozionalità portare alla terra/salvezza, se esista, nella imperante omologazione, ancora la donna salvifica, che squaderni il senso delle cose "nella sua più completa purezza".
L'uomo ha bisogno della diversità dal proprio sé, che è colpa/sofferenza nella mente e nell'anima, per avviarsi all'itinerario di conoscenza/salvezza. Ma se 'l'altro da sè' è bellezza senza capacità di bene, la salvezza non può che essere illusione, e questa lascia ancor più nella oscurità.
Il dialogo filosofico-sociologico intriso anche di sapienza poetica che si svolge tra l'Io narrante e la bellissima donna del salone della banca ha, da parte dell'uomo, forti accenti contro il distorto sistema di omologazione ed é volto all'affermazione della necessità di una diversità perché la donna possa continuare ad essere salvifica.
Il sogno sembra per un attimo avere la consistenza della realtà, mentre in lontananza il mare appare ancora nero ed il ricamo verso la volta stellata è solo fumo che sale dalle ciminiere delle industrie.
L'"omeostasi", per la quale ogni opposizione scompare nell'armonia creata dalla percezione del Divino, è attimo breve, cui segue "l'inferno della modernità" e con esso la coscienza della vacuità dell'illusione.
Scompare la donna con l'abito bianco, ricompare il pozzo con le caverne: ancora una volta si vanifica il tentativo di conoscere se stesso e non resta che sprofondare nel nero del mare/cielo.
Il romanzo di Roberto Pasanisi nell'Io narrante, emblema della condizione in cui sperduto naviga l'uomo presente con lo sguardo dolorosamente nostalgico a bagliori lontani, inafferrabili, segna la sconfitta dell'itinerario cognitivo. E' venuta a mancare l'ancora salvifica ma anche la forza di una costruttività tutta interiore, che trascenda la fisicità. Il pensiero 'meditativo' e 'poetante', presente in tante pagine dove il linguaggio si fa filosofico e lirico-simbolico scoprendo la solida cultura del nostro Autore e insieme la sua natura e sensibilità poetica, non salva l'uomo che s'è affacciato al nuovo millennio senza l'angelo e quindi senza poter egli stesso farsi angelo, con una distanza abissale dalle certezze medievali, più vicino alla visione tragica della colpa e del male, propria del romanticismo, incapace nella sua ricerca di accettare la realtà.
Quest'opera, in uno stile che pur nella modernità non disdegna ipotassi e finezze lessicali invise allo schematismo espressivo e alle innovazioni linguistiche di povertà di tanta letteratura contemporanea, potrebbe essere letta come monito ad analizzarsi per ritrovare la via della diversità/salvezza.
L'invito a meditare sui disastri prodotti dagli eccessi, a mutare rotta con un 'rallentamento' ci viene ormai da più parti e relativamente ad ogni aspetto, da quello antropologico e psico-sociologico all'ecologico.
Ma chi lo accoglie?

Antonietta Benagiano



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