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Spuntature: Rossi, Lorenzo e la verità che non vogliamo sentire

Nel day after di una delle giornate più travagliate del Motociclismo moderno, è impresa ardua rimettere insieme i cocci di un vaso che si è rotto diverse settimane fa. Per ogni pezzo smembrato e calciato con ostinazione sotto il tappeto c’è una corrente filosofica, una scuola di pensiero, un partito politico. C’è chi sta con Valentino, a prescindere.
del 10/11/15 -

Nel day after di una delle giornate più travagliate del Motociclismo moderno, è impresa ardua rimettere insieme i cocci di un vaso che si è rotto diverse settimane fa. Per ogni pezzo smembrato e calciato con ostinazione sotto il tappeto c’è una corrente filosofica, una scuola di pensiero, un partito politico. C’è chi sta con Valentino, a prescindere. C’è chi ce l’ha con Marquez. Chi grida al complotto organizzativo, chiedendo la forca per Carmelo e la Dorna. C’è infine chi si è incattivito con la Spagna intera, complice sorniona e taciturna dell’orrido patto di Andorra che ha strappato via la decima corona a Rossi. Avanti, Savoia.

Mi si conceda una premessa, campanilistica finchè vi pare: anche io stavo e sto con Valentino. Ho tifato Rossi sino all’ultima curva di domenica, perchè quella del Dottore è una bella storia che diventerà comunque leggenda. È la storia di qualcuno che -sportivamente ma anche umanamente- ha traversato le epoche e le generazioni del motociclismo riuscendo sempre ad essere al vertice. Senza mezzi termini, Valentino è la MotoGP. Anzi, forse è più grande della MotoGP stessa. Ne sono testimoni le decine di migliaia di spettatori che ad ogni gran premio riempiono le curve vestiti di cappelli gialli e maglie con il 46. Rossi, e questo lo dico senza dubbio alcuno, è parte della cultura italiana degli ultimi venti anni, ma anche della cultura sportiva intera degli ultimi venti anni. Come tutti gli straordinari campioni è qualcuno che è riuscito a trascendere il concetto di atleta eccellente, arrivando a toccare il pubblico con qualcosa che va oltre il semplice sport. Rossi è come Ayrton, come Magic Johnson, come Cassius Clay. Non sono paragoni eccessivi.

Detto questo, fatte le debite premesse e dato credit where credit is due, c’è una verità che non vogliamo sentire, ma che è lì, dinanzi ai nostri occhi. E la verità è che il Lorenzo di quest’anno era più veloce di Valentino. Il maiorchino ha vinto più Gran Premi, ha fatto più pole position, ha condotto per più minuti le gare, ha fatto più giri veloci ed è stato più in testa durante il weekend. Certo, ha fatto anche qualche errore in più, mentre Rossi è stato un mostro di continuità, ma questo è il motivo per cui i campionati sono così lunghi: per diluire le possibilità che gli errori falsino i valori in campo.

Anche domenica scorsa, la nera domenica di Valencia, Rossi avrebbe potuto poco contro i primi tre. Il suo passo era per fare quarto, cosa che puntualmente ha fatto. Insomma, Vale era nettamente più veloce di quelli dietro ma anche più lento di quelli davanti. Mentre Pedrosa, Lorenzo e Marquez giravano abbastanza costanti fra l’1’31″5 e l’1’31″9, il Dottore solo raramente è sceso sotto l’1’32″2. Questa, lungi dall’essere una lettura delle cose, un’interpretazione o una giustificazione, è semplicemente la storia raccontata dai numeri di questo mondiale. Un mondiale in cui Lorenzo ha vinto 7 Gran Premi contro i 4 di Valentino e fatto 4 pole position contro il singolo Exploit ad Assen del Dottore. Di tutto questo non si può non tenere conto, se si vuole analizzare con obiettività la situazione.

Certo, nel Gran Finale di Rossi c’è stata la patata bollente del patto di Andorra da sbrogliare, ma neppure l’annata di Lorenzo, se volessimo essere onesti, è stata scevra di un buon numero di sfighe e rogne assortite. C’è stata l’imbottitura del casco in Qatar, la bronchite ad Austin, il problema alle gomme in Argentina e la visiera appannata a Silverstone. Tutte robe che fossero capitate al Nostro saremmo andati ad accendere dei ceri alla Madonna di san Luca, avremmo allacciato cornetti rossi ai portachiavi e sparso aglio davanti la soglia.

Marquez ha sparigliato ulteriormente le carte, andando a buttare fango e malizia su una bagarre che già sportivamente possedeva i contenuti necessari per un campionato meraviglioso. Ad opinione di chi scrive, non tutto quello di cui è stato accusato il talento della Honda è realistico. Non credo, ad esempio, che abbia preferito la vittoria di Lorenzo alla propria, o che abbia tramato qualche orrido complotto a discapito della sua stessa casa madre, la Honda. Credo invece, questo sì, certamente, che si sia comportato da bambino irrispettoso e viziato, che non ha esitato quando c’era da dare fastidio a Valentino in Malesia. Il suo istinto da Icaro ubriaco, che non tollera di non potere volare più in alto del sole, lo ha portato ad una battaglia inutile, sciocca e foriera di un casino di proporzioni colossali.

È quasi certo che anche senza Marquez di mezzo, Lorenzo avrebbe comunque vinto il Mondiale. Anzi, avrebbe vinto con maggiore onore, maggiore merito e maggiore stima da parte di tutti i colleghi e gli addetti ai lavori. Quegli stessi addetti ai lavori che già a metà maggio, se avessero dovuto mettere cinque euro sul Campione del Mondo 2015, li avrebbero puntati sul 99 Yamaha.

Ha vinto il più veloce, non il più costante. Ma di questo non si può fare un torto al Campionato del Mondo di motociclismo. Rossi ha saputo approfittare, con esperienza, saggezza e intelligenza, di tutte le situazioni in bilico e delle domeniche più stravaganti. Al contempo però ha dimostrato di non avere nè il giro secco nè il passo per stare con il rivale nelle giornate più normali, per quanto il termine possa sembrare ridicolo.

Alla maggioranza del pubblico, fra cui mi annovero senza tema, questo finale non piace. Non piace perchè vince l’antipatico, e non l’Eroe. Non piace perchè Lorenzo è e sarà sempre quello antipatico, scontroso e scioccamente polemico; quello con la risposta acida, con l’ego smisurato, con quel mondo Jorge-riferito che mal si sopporta. Avrebbe ad esempio potuto star fuori dal battibecco fra Rossi e Marquez, fare il suo dovere senza aprire bocca, ma non l’ha fatto, testimoniando che quel muro nel garage Yamaha non è mai davvero venuto giù fino in fondo.

Tuttavia, anche se questo finale non piace, credo sia opportuno ricordare una cosa a quanti sostengono, magari un po’ offuscati dalla rabbia, che questo mondiale sia stato pilotato dalla Dorna perchè finisse esattamente così. Ezpeleta e i suoi, che tutto sono fuorchè una banda di scappati di casa, sanno bene che non è Lorenzo il “big ticket” della MotoGP. Sanno bene che è Rossi l’uomo su cui spingere, almeno fino a quando correrà, perchè da lui solo provengono più della metà degli introiti della categoria. Dopo Rossi, la Dorna puntava su Marquez, sul suo viso pulito e sul sorriso da bravo ragazzo, prima che tutto questo saltasse per aria.

La verità è che alla MotoGP e ai suoi organizzatori tutto questo ha creato solo un gran pasticcio da risolvere, una situazione sfuggita di mano e mai recuperata. Ma anche questa è una verità che non amiamo sentire.



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