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Qualità assente, Italia operaia: Conte alle prese coi cocci mondiali

Il primo test di un certo livello mette in evidenza gli attuali limiti di una Nazionale figlia della povertà del suo campionato: con la Croazia gli azzurri soffrono, ma almeno non vanno al tappeto
del 17/11/14 -

Alla quinta uscita la nuova Italia di Antonio Conte interrompe il suo percorso netto non andando oltre l’1-1 a Milano contro la Croazia. Un risultato che aritmeticamente parlando riavvicina la Norvegia (leggi la classifica del Gruppo H) ma non scalfisce più di tanto il testa a testa per il primo posto – si qualificano le prime due e la migliore terza, possibilità di spareggio per le altre – che, con ogni probabilità, riguarderà le duellanti di San Siro. Un punto di sostanza, ma in chiaroscuro sul piano del gioco.

Messa da parte l’amichevole d’esordio con l’Olanda, giocata tra l’altro nel sempre particolare clima di inizio settembre, il test di ieri era particolarmente importante perché poneva per la prima volta gli azzurri davanti ad un avversario di livello. Norvegia, Azerbaigian e Malta non potevano infatti essere considerati ostacoli attendibili, ben lontani dalla forza della Nazionale di Kovac che si è confermata invece una signora squadra. Ebbene, il responso è stato una sufficienza stiracchiata: il classico 6-.

Se da un lato vanno apprezzati l’organizzazione e la voglia di fare che Conte ha subito fatto digerire al gruppo, dall’altro è emersa in tutta la sua rilevanza la mancanza di un adeguato spessore tecnico complessivo. Mascherato da confronti che tatticamente avevano consentito alla Nazionale di fare la voce grossa, contro un avversario teoricamente della stessa caratura la difficoltà nella costruzione di gioco è apparsa netta. Gap cui a volte sarà possibile sopperire con la grinta, ma che alla lunga fa la differenza a caro prezzo.

Lo sfiancante lavoro richiesto al duo Immobile-Zaza è l’emblema di una squadra operaia, in cui la quantità surclassa la qualità. Lo sapevamo, e ne ce ne siamo accorti con ancora maggiore convinzione in una serata in cui mancavano in un colpo solo Pirlo, Verratti e Bonucci, ovvero i due registi capaci di dettare il ritmo e l’unico difensore che ha i piedi giusti per rilanciare l’azione da dietro. Gli azzurri girano bene quando eseguono al meglio lo spartito ma soffrono se al singolo viene chiesto di metterci del suo per uscire dal coro.

Del resto latita la qualità nel centrocampo e in attacco non c’è alcun risolutore. Modric e Rakitic hanno giganteggiato e con loro l’intera mediana croata in cui, tanto per rendere l’idea della diversa ricchezza in campo, uno come Kovacic partiva solo dalla panchina. Zaza, Pellè, Pasqual, il debuttante Soriano e lo stesso Darmian: con tutto il rispetto, sono lo specchio di una generazione che attualmente pone l’Italia qualche gradino al di sotto dello status cui è storicamente abituata. Il finale con El Shaarawy a rincorrere lungo la fascia e Pellè isolato è stato un piccolo ma significativo segnale di resa: per ora siamo questi.

Per fortuna, a guardare il bicchiere mezzo pieno, va detto che le difficoltà non ci investono come un’onda inattesa. Errori di Prandelli a parte, ci siamo ormai convinti tutti di come il flop Mondiale affondasse le sue radici molto più in profondità. Nel match in cui Conte avrebbe forse tastato il polso di uno dei pochi solisti (Balotelli, tanto per cambiare protagonista del giallo legato al suo forfait) ancora in giro, il commissario tecnico riparte invece dai presupposti già insiti nel insediamento.

Quella che sta pian piano tentando di rialzare la testa è una Nazionale figlia inequivocabile del suo campionato di riferimento: pochi campioni, lentezza esasperata ed eccessivo tatticismo. Una mano, quella sì, potrebbe allora dargliela il tentativo dei club italiani di adeguarsi ad un calcio più europeo in termini di ritmo e approccio. Al momento questo è quanto passa il convento, in attesa che da qui agli Europei sbocci qualche nuovo talento.



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