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Intervista a Stefano Gianuario, autore del romanzo “Ci penseremo domani”

Stefano Gianuario (Milano, 1985) è un giornalista professionista; ha pubblicato il racconto “Le cose di Jack” (Nuovi Autori, 2004 - con la prefazione letteraria di Cristiano Godano, leader dei Marlene Kuntz), il romanzo “Vanilla Scent” (Robin Edizioni, 2017) e “Ci penseremo domani” (Morellini Editore, 2023).
del 26/10/23 -

«Ci presenti il tuo nuovo romanzo “Ci penseremo domani”?»
È la storia di un incontro tra due persone molto differenti tra loro per età, personalità, professione e trascorsi di vita. Un incontro casuale, per quanto possa valere questo termine, che mette a confronto lungo una sola lunga notte di settembre le vite dei due protagonisti attraverso un dialogo continuo e crescente che li porterà lungo questo “viaggio al termine della notte” ad avere prospettive e consapevolezze del tutto nuove verso se stessi e verso l’altro.

«Nell’opera si crea una sorta di magia tra i protagonisti Fabrizio e Jennifer: sono degli sconosciuti, e per di più con età differenti e con trascorsi di vita diversi, eppure i due personaggi trovano nell’altro il proprio specchio; ciò li porta a essere completamente loro stessi, come accade molto raramente quando si incontra qualcuno e si tende a mostrarsi migliori di quello che si è. Ciò che narri è la storia di una rivelazione: Fabrizio e Jennifer compiono un viaggio dentro loro stessi man mano che si confessano l’un l’altro, e nell’opera questa rinascita è ottimamente raccontata grazie al ricorso ai loro due punti di vista in soggettiva. Cosa ha significato per te scrivere questa storia? Vi è forse uno sfondo autobiografico?»
Non c’è uno sfondo autobiografico, forse il punto di partenza era invece un desiderio personale. Ho scritto gran parte del romanzo durante la pandemia, non nelle prime battute ma quando il vivere con l’emergenza stava assumendo un carattere strutturale. L’Italia era divisa in zone “colorate” e vigevano una serie di limitazioni, tra le quali il coprifuoco.
Mi spaventava che quella vita che vivevamo in quei giorni potesse essere la nuova vita. Così ho pensato di creare l’incontro tra i miei due protagonisti in quello che, prima della pandemia, era lo scenario più naturale che si potesse immaginare: una sera, in un bar con i drink in mano. In questo punto di partenza ho riposto la speranza che persone come Fabrizio e Jennifer potessero ritrovare questa possibilità e quindi “esistere veramente”, un giorno, in qualche parte in Italia, da lì a breve.

«Fabrizio Tarducci è il protagonista maschile del tuo romanzo: sessantenne, ex presentatore di un programma televisivo sul calcio, ora andato in pensione volontariamente perché non si riconosce più nel mondo in cui ha vissuto e lavorato per trent’anni. Come lo descriverebbe il suo autore?»
Come un uomo solo apparentemente risolto e arrivato. In realtà – ed in cuor suo è una verità che ha l’onestà intellettuale di ammettere – arriva alla sua età e al termine della vita professionale con molti dubbi, non solo sul prossimo futuro, ma anche del cammino che l’ha portato al momento presente. È un uomo gentile e accorto nei modi, che vanta un savoir-faire e un naturale “saper stare”; un comportamento nel quale crede e che non è frutto da una posa ma che usa in qualche modo come armatura e come strumento per mantenere il distacco dalle persone e dalle situazioni. Durante il romanzo si scopre come sia arrivato a tutto questo e, come Jennifer, neanche troppo consapevolmente, riuscirà ad andare ben oltre questa composta eleganza, dritto all’anima profonda di Fabrizio.

«Jennifer De Angelis è invece la protagonista femminile dell’opera: trent’anni, aspirante fumettista ma barista per ripiego, nonostante la giovane età si è già arresa ai normali fallimenti che si possono incontrare quando si sceglie una carriera artistica; non ha più stimoli e si sente perennemente inconcludente - «Detestavo non avere una direzione e non essere neanche più interessata a trovarla». In Jennifer e nel suo male di vivere si possono rispecchiare in tanti; come è nata l’idea per questo intenso e tormentato personaggio?»
Jennifer è una voce generazionale. È un’anti-eroina con trascorsi comuni a molti, nei quali ci si rispecchia facilmente e proprio per questo può essere un vessillo. In lei si incarna il prototipo di una generazione – diciamo di quell’età a cavallo tra Millennials e GenZ – alla quale mancano prospettive collettive, non per assenza di slancio ma perché la società e le generazioni che l’hanno preceduta ha fallito, non permettendogli di trovarle. L’ho pensata e l’ho voluta così la mia Jennifer ma devo dire che si è scritta da sola, nel corso della stesura dell’opera.

«Nel romanzo gioca un ruolo chiave il destino, che decide che tra i due protagonisti debba avverarsi quella situazione utopica in cui si riesce a vivere fino in fondo il qui e ora. Tu nasci giornalista, hai anche un passato da musicista e ora sei un autore di narrativa con due romanzi pubblicati. Quando è avvenuto il tuo incontro, magari deciso dal destino, con la scrittura? Chi o cosa ti ha ispirato a intraprendere questa strada?»
Non mi piace il concetto di destino o meglio, non mi piace il fatalismo, e quindi il cedere – o peggio il dare colpe – al destino. Che è un fare fin troppo condiviso attualmente che ha molto il sapore dell’alibi, a mio avviso. Circa il mio percorso professionale e di vita, la scrittura è sempre stata la certezza: l’aspirazione da più giovane, la determinazione a farne un mestiere e l’impegno quotidiano una volta raggiunto questo faticoso status. Parrà banale ma, come dicono senz’altro molti autori, ho sempre voluto scrivere ed è una volontà che continuo ad allenare – perché ogni cosa va allenata – da vent’anni.

«Quali sono tre buoni motivi per cui si dovrebbe leggere “Ci penseremo domani”?»
Non so se arrivo a tre. Però ne ho uno che a mio parere vale molto: è una bella storia. Non fraintendetemi, non è un auto incensamento questa affermazione, intendo dire che è una vicenda umana intensa, con un alto carico emotivo, una storia che dà speranza. In giro si vedono, leggono e sentono tante brutture e meschinità; l’atteggiamento predominante è il pressapochismo che si accompagna a un menefreghismo diffuso. E il punto è che tanto più si diffondono questi comportamenti quanto più vengono legittimati, diventano un incentivo.
La mia storia parla della semplicità e della bellezza che esiste ancora nell’incontro tra due persone: un valore sottostimato che andrebbe difeso.

«Cosa racconti invece della tua prima opera, “Vanilla Scent”? Vi è forse un fil rouge che lega i tuoi due romanzi?»
Il solo fil rouge è l’autore. I due romanzi si passano, in termini di stesura non di pubblicazione, di dieci anni tondi. Dieci anni di vita in cui sono cambiate prospettive, città, lavori; sono passate persone, situazioni e atteggiamenti. E poi nascono con due scopi differenti: “Vanilla Scent” voleva essere uno scritto catartico, con un fare da scongiuro: mi serviva fissare su carta uno scenario che non mi auguravo accadesse. “Ci penseremo domani” invece, come dicevo prima, voleva essere una bella storia da raccontare e, mi auguro, anche da leggere.


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