Redditometro: una presunzione semplice

Un commento alla sentenza della Cassazione n.23554/2012 con la quale i giudici di legittimità hanno affermato che il redditometro integra una presunzione semplice. Siamo di fronte ad un'inversione di orientamento giusrisprudenziale che imputerà l'onere della prova a carico dell'Amministrazione finanziaria?
del 23/01/13 -

La recentissima sentenza della Corte di Cassazione rappresenta certamente un importante punto a favore di un filone giurisprudenziale minoritario, che sostiene la tesi per cui il redditometro abbia la valenza di una presunzione semplice.
Ricordiamo brevemente che le presunzioni vengono solitamente classificate come:
- legali assolute, che impongono determinati obblighi fiscali per legge e, se non previsto, non ammettono prova contraria.
- legali relative, che danno per dimostrata una certa situazione sfavorevole al contribuente, facendo però salva la possibilità di prova contraria da parte di quest'ultimo ;
- semplici, cioè liberamente valutabili dal giudice, ammesse nell'accertamento purché gravi, precise e concordanti.

Già la C.T. provinciale di Torino, con la sentenza 136 del 1/07/2011, aveva sostenuto che “in linea generale appaiono ragionevoli e condivisibili presupposti da cui muovono gli accertamenti di tipo induttivo… basati sulla proprietà/possesso/disponibilità di determinati beni, che costituiscono (o possono costituire) indice di reddito e, quindi, di capacità contributiva, posto che detti beni hanno sicuramente un costo tanto di acquisizione, quanto di mantenimento, costi che devono, prima, “entrare” nel reddito del soggetto per poter, poi, “uscire” per l’acquisizione o il mantenimento dei beni stessi”. Definisce la presunzione “semplice ma comunque legale”, nel senso che da un lato il contribuente non può contestare il metodo di calcolo dei decreti ministeriali, dall’altro lato “la natura indiscutibilmente semplice della presunzione” consentirebbe “di provare che nello specifico caso le spese di mantenimento di quel bene per quell’annualità siano state inferiori a quelle legislativamente presunte”.

La Cassazione giunge ad uno stesso risultato, seguendo però una differente argomentazione.
In quello che era apparso un pronunciamento isolato (ordinanza 21661/2010), la Cassazione assimilava lo strumento del redditometro alla categoria degli accertamenti standardizzati, come gli studi di settore, e puntualizzava che il risultato di questi deve necessariamente tener conto degli elementi che emergono nel corso del contradditorio con il contribuente. Successivamente, con la sentenza n.13289/2011, depositata il 17 giugno, i giudici di legittimità stabiliscono “la necessità … di esperire il preventivo contraddittorio per adeguare l’elaborazione statistica degli standard considerati dai decreti ministeriali del 1992 alla concreta realtà economica del contribuente”. E’ noto che a seguito delle novità apportate dal D.L. 78/2010, per gli accertamenti riguardanti i periodi d’imposta dal 2009 in poi, a pena di nullità, l’Ufficio ha l’obbligo di invitare il contribuente al contradditorio. Secondo la Cassazione, quindi, il confronto tra il risultato dato dall’applicazione dei coefficienti ministeriali e le informazioni fornite dal contribuente è fondamentale per fotografare la reale e specifica situazione del contribuente. In modo forse indiretto, equiparando redditometro e studi di settore, sosteneva che il primo, come i secondi è assistito da una presunzione semplice (richiamando la sentenza delle Sezioni Unite n. 26635/2009).

Con la recente sentenza n. 23554/2012, la Suprema Corte afferma chiaramente il carattere di presunzione semplice degli elementi induttivi del redditometro: “l’accertamento sintetico disciplinato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, gia’ nella formulazione anteriore a quella successivamente modificata dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 22, convertito in L. n. 122 del 2010, tende a determinare, attraverso l’utilizzo di presunzioni semplici, il reddito complessivo presunto del contribuente mediante i c.d. elementi indicativi di capacita’ contributiva stabiliti dai decreti ministeriali con periodicita’ biennale”.
Questa decisa affermazione della valenza della presunzione semplice per il redditometro è certamente coerente e dovuta, dal momento che, in particolare per il nuovo redditometro, si è in presenza di una serie di elementi che devono essere assolutamente personalizzati (gli incrementi patrimoniali e in particolare le spese tabellari, per le quali si considera l’ammontare più elevato tra quello disponibile in anagrafe tributaria e quello determinato considerando la spesa media rilevata dai risultati dell’indagine sui consumi dell’ISTAT o da analisi e studi socioeconomici). Come sostenuto anche dai giudici della CTR del Piemonte, con la sentenza 76/24/11, “pare difficile ingabbiare in una struttura della rigidità della presunzione legale – sia pure relativa – un fenomeno tanto proteiforme e sfuggente come la produttività delle attività economiche e il suo correlarsi a fattori produttivi”.
Da qui la conclusione che l’accertamento, per come è stato definito, non riportando valori acriticamente ricavati dall’applicazione dello strumento standardizzato, non può che assumere la valenza della presunzione semplice.

Gli effetti di un tale cambiamento sarebbero decisivi. Come sostenuto in passato dalla Cassazione, (sentenza n. 10345 del 7 maggio 2007), in sede di accertamento, gli uffici competenti sono autorizzati, ai sensi degli artt. 37 e seguenti del D.P.R. 600/1973, ad avvalersi della "prova per presunzione", la quale presuppone la possibilità logica di inferire, in modo non assiomatico, da un fatto noto e non controverso, il fatto da accertare, con conseguente onere della prova contraria a carico del contribuente, il quale, ove intenda contestare l'efficacia presuntiva dei fatti addotti dall'ufficio a sostegno della propria pretesa, oppure sostenere l'esistenza di circostanze modificative o estintive dei medesimi, deve a sua volta dimostrare gli elementi sui quali le sue eccezioni si fondano. Anche con la sentenza 9549/2011, la Cassazione si era espressa in termini di presunzione legale, posto che è la legge che pone in relazione il fatto certo del possesso di determinati beni all’esistenza di una capacità reddituale. Di conseguenza, si sosteneva che il giudice tributario, accertata l’effettività fattuale degli elementi rilevatori di capacità contributiva non potesse privare tali elementi della capacità presuntiva attribuita loro dalla legge, ma solo valutare la prova che il contribuente offre in ordine alla provenienza non reddituale delle somme contestate. L’amministrazione Finanziaria, verificato lo scostamento tra quanto dichiarato e quanto emerge dall’applicazione degli indici presuntivi di reddito, non era tenuta a dimostrare altro.

In altre parole, considerare il redditometro una presunzione legale relativa, significa quindi che il contribuente non può sostenere, ad esempio, che per la manutenzione di un determinato bene abbia speso meno di quanto sostenuto dall’amministrazione, nemmeno qualora fosse in possesso di tutta la relativa documentazione, ma si dovrebbe limitare a dimostrare che le spese presunte trovano copertura con redditi esenti, o comunque, con mezzi di sostenimento irrilevanti ai fini fiscali.

Diversamente, quando non si è in presenza di presunzioni stabilite dalla legge, l’ammissione della prova presuntiva è lasciata alla prudenza del giudice, il quale non può ammettere che presunzioni dotate di gravità, precisione e concordanza (art. 2729 codice civile). Come sostenuto recentemente, poiché nel nuovo redditometro gli elementi induttivi devono essere “adeguati” nel corso del contraddittorio, non si è in presenza di presunzione legale. Ecco che, come ha correttamente sostenuto Deotto (si veda “Attenuata la forza del nuovo strumento”, Il Sole 24 Ore del 9 gennaio 2013), il contribuente non è propriamente tenuto a fornire una “prova contraria” (la quale sottintende una presunzione legale relativa), ma, come è più corretto affermare, è tenuto a fornire “giustificazioni” circa la sua capacità di spesa. Al contribuente accertato si conferisce quindi, giustamente, la possibilità di dimostrare anche, tornando al nostro esempio pratico, che le spese di manutenzione di un certo bene siano state inferiori a quelle presunte dall’amministrazione. Come per definizione, l’onere probatorio incombe su colui che intende trarre giovamento dal ragionamento presuntivo, cioè sta all’ufficio il compito di dare prova dell’attendibilità del fatto presunto.

Come giustamente sostenuto da Borgoglio (si veda “Per la cassazione il redditometro è una presunzione semplice” dell’8 gennaio 2013), la sentenza n. 23554 certamente conferma l’esistenza di un nuovo filone giurisprudenziale di legittimità a favore della tesi per cui il redditometro integra una presunzione semplice, eppure non va dimenticata la contemporanea esistenza di un altro consolidato orientamento della Cassazione (da ultime, l’ordinanza 27545/2011 e l’ordinanza 14168 del 2012, i giudici di legittimità erano nuovamente tornati su quella che era stata la loro posizione prevalente).



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