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Magico Toro, 60 anni da Superga (di Massimiliano Granato)

Alle 17.05 del 4 Maggio, si schiantava sul muraglione della chiesa di Superga il mitico Grande Torino, fresco vincitore del quinto scudetto consecutivo, record finora appartenente solo alla Juventus del quinquennio 1930-35.
del 04/08/09 -

Sono passati più di 60 anni da quel grigio pomeriggio di Superga. La nebbia avvolgeva la città come non mai, quasi a presagire l’imminente tragedia.

Alle 17.05 del 4 Maggio, si schiantava sul muraglione della chiesa di Superga il mitico Grande Torino, fresco vincitore del quinto scudetto consecutivo, record finora appartenente solo alla Juventus del quinquennio 1930-35.

Era una squadra praticamente invincibile, formata non solo da atleti ma da uomini che sapevano fare gruppo.

Era un calcio d’altri tempi ma c’era ugualmente furore agonistico e non c’era formazione in grado di tenere testa a quegli undici guerrieri mai domi, pronti anche a ribaltare situazioni all’apparenza impossibili. Quando capitan Mazzola si rimboccava le maniche della divisa, era segno tangibile della riscossa torinista, che sfociava nel mitico “ Quarto d’ora granata “. In quel lasso di tempo, spettacolo, gioco e soprattutto reti, facevano da meravigliosa cornice alla partita, sotto gli occhi estasiati del pubblico accorrente allo stadio Filadelfia.

Il Torino era il simbolo di quell’Italia che voleva ripartire dalla guerra, il simbolo della voglia di tornare a sorridere e a divertirsi, ma soprattutto la voglia di tornare a vivere. Fu costruito, pezzo per pezzo, dall’entusiasta presidente Ferruccio Novo, che voleva non solo una squadra vincente, ma anche uomini vincenti, onesti e leali con il proprio avversario.

La squadra granata fu una delle prime ad affrontare il viaggio in aereo. E in aereo gli eroi divennero leggenda: come dimenticare, oltre a Valentino Mazzola giocatori come Bacigalupo, Maroso, Grezar, Loik, Menti, Castigliano, Rigamonti sono impressi nella mente di chi ha avuto la fortuna di vederli e nel cuore di chi ha ascoltato i racconti dei nonni.

Dopo aver vinto meritatamente il campionato, il Grande Torino è volato a Lisbona per giocare una partita di addio di Ferriera, capitano del Benfica, che ha voluto fortissimamente Mazzola e soci per salutare il calcio.

Poi il fato si è portato via in maniera assurda la squadra, compresi i dirigenti e tre giornalisti al seguito. L’aereo si è schiantato senza lasciare superstiti consegnando i giocatori alla leggenda. I funerali sono stati seguiti da migliaia di persone, che hanno voluto rendere omaggio ai loro idoli. Bandiera a mezz’asta, nella sede della società, mentre sfilano i carri funebri.

E’ troppo poco dire che sono stati simbolo di un calcio che non c’è più: uno sport semplice, senza troppe tensioni proprie di questi ultimi vent’anni.

Ancora oggi Superga è meta di numerosi pellegrinaggi di tifosi e non del Magico Toro. Il museo del grande Torino invece è stato recentemente trasferito a Grugliasco, presso villa Claretta, edificio risalente alla metà del XVII secolo. Forse è troppo poco per commemorare questo squadrone che ha segnato in modo indelebile la storia del calcio italiano, proponendo un nuovo modo di giocare, orchestrato dall’allenatore Egri Erbstein e che permise al Toro di rimanere imbattuto per ben sei anni, dal 1943 al 1949.





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