La capacità contributiva del nucleo familiare

La CTP di Milano nella recente sentenza n.271/01/2012 assimila la famiglia di fatto al rapporto di coniugio in ambito fiscale.
del 23/10/12 -

Attraverso l’accertamento sintetico, l’Amministrazione finanziaria attribuisce al soggetto accertato una specifica “capacità contributiva”sulla base della disponibilità di beni e servizi significativi.
Sulla possibilità per il contribuente accertato di dimostrare la propria effettiva capacità di spesa in funzione della sua appartenenza ad un nucleo familiare, si sono positivamente epresse negli anni sia la giuriprudenza sia il Ministero delle Finanze, indirizzando l’Amministrazione ad un uso ponderato dello strumento accertativo in ragione della necessità “ di procedere sempre ad un esame complessivo della posizione reddituale dell’intero nucleo familiare del contribuente, essendo evidente come frequentemente gli elementi indicativi di capacità contributiva possano trovare spiegazione nei redditi posseduti da altri componenti il nucleo familiare” .
La stessa giurisprudenza di merito analogamente ritiene che in presenza di coniugi conviventi, entrambi produttori di redditi, “tutte le spese di carattere familiare sono da riferirsi ad entrambi i coniugi e non ad uno solo di essi”, per cui eventuali pretese dell’Ufficio di attribuire tutti i costi ad un solo coniuge “non regge né di fatto, né di diritto” .
Di pari passo l’Amministrazione Finanziaria e la stessa Guardia di Finanza sottolineano la necessità di considerare il contribuente non come singolo, ma come parte di una realtà più grande, ovvero di una famiglia fiscale, poiché “come avviene frequentemente gli elementi indicativi di capacità contributiva rilevanti ai fini dell’accertamento sintetico possono trovare giustificazione nei redditi degli altri componenti il nucleo familiare” . Pertanto, anche con l’intento di concentrarsi su azioni di accertamento proficue, già nella fase di selezione dei soggetti da controllare, l’attenzione va rivolta al nucleo familiare, al fine di valutare preventivamente se la manifestazione di ricchezza e/o la posizione reddituale dei componenti possano essere una spiegazione sufficiente ad evitare di procedere all’accertamento sintetico nei confronti di coloro che, sulla base della sola valorizzazione degli elementi a loro carico, presenterebbero una capacità contributiva non coerente con la propria posizione fiscale ricostruita.
Recentemente la giurisprudenza si è espressa su cosa si debba intendere per famiglia fiscale. Nel giudizio che traeva origine dall’impugnazione dell’avviso di accertamento sintetico con cui l’Agenzia delle Entrate constatava maggiori redditi in capo alla ricorrente, quest’ultima si difendeva chiedendo che il reddito imputatole venisse riconsiderato alla luce della capacità reddituale complessiva del nucleo familiare, nonostante questo non fosse stato formalizzato attraverso il matrimonio. La Commissione tributaria Provinciale di Milano, quindi, si è trovata ad affrontare la questione di cosa si debba intendere per famiglia fiscale . Mancando riferimenti specifici sia nell’ambito tributario che amministrativo, la Commissione meneghina ha affermato la possibilità di adottare, anche per la materia fiscale, la definizione di famiglia elaborata nell’ambito penale. In altre parole, deve intendersi tale “ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo”.
Ovviamente sarà onere del contribuente accertato dimostrare adeguatamente la sussistenza di tutti i requisiti che provino l’esistenza di una famiglia di fatto. Nel giudizio di cui sopra, poiché la contribuente è risultata convivente da molti anni con lo stesso compagno da cui ha avuto tre figli, la CTP ha quindi potuto assimilare senza difficoltà la famiglia “di fatto” al rapporto di coniugio.
E’ importante sottolineare che anche il nuovo redditometro esprime l’orientamento della Commissione meneghina sulla famiglia fiscale. Nelle faq sul nuovo redditometro, infatti, l’Agenzia delle Entrate chiarisce alcuni aspetti relativi alla composizione della “famiglia redditometrica”. Saranno pertanto da classificarsi come “coppie” le unioni di soggetti conviventi, ancorchè non sposati, i c.d. nuclei familiari ricostituiti formati a seguito di scioglimento di precedenti unioni coniugali di almeno uno dei due partner, nonché addirittura i coniugi non separati né divorziati che abbiano un domicilio diverso l’uno dall’altro. Stranamente a nostro avviso, mentre per la selezione delle voci che dovrebbero caratterizzare la sitazione del contribuente, un figlio non a carico ma convivente con i genitori viene considerato parte del nucleo familiare, un solo genitore (vedovo/ separato) convivente con un figlio non sposato è da considerarsi “monogenitore”. Rientrano invece nel gruppo “Altre tipologie” i genitori conviventi con un figlio sposato ed ad esempio due sorelle(di cui una celibe ed una separata/vedova) che convivono con il figlio non sposato di una di loro.
Al di là ora dell’individuazione dello specifico gruppo in cui collocare il contribuente, è compito dell’Amministrazione finanziaria procedere ad una ricostruzione della complessiva situazione del soggetto posto sotto osservazione, nonché di coloro che risulteranno comporre il suo nucleo familiare, sulla base dei dati già in possesso del sistema informativo ed anche di quelli forniti dal contribuente accertato interpellato con apposito questionario o in sede di contradditorio.
In particolare, al fine di giustificare la discrasia riscontrata tra il reddito dichiarato dal contribuente accertato e la sua capacità reddituale espressa in ragione del tenore di vita o degli incrementi patrimoniali realizzati, si valuterà se i redditi imponibili dichiarati e gli elementi contabili desumibili da atti registrati stipulati anche da familiari possano aver contribuito alle spese-indice di capacità contributiva.
In generale, occorre in primis dare prova che il finanziamento di tali spese sia avvenuto con fondi leciti, derivanti ad esempio dalla dismissioni di beni, da donazioni, o da risparmi. Quando si tratta di dimostrare che il denaro utilizzato è giunto da altre persone, la miglior difesa è di carattere documentale (copie di assegni, bonifici, etc). Salvo casi specifici e limitati, la prova non può consistere di dichiarazioni di terzi. Tuttavia, in assenza di elementi documentali, la prova potrebbe essere resa anche in chiave presuntiva (classico esempio del giovane studente proprietario di un’auto di lusso, non occupato, non titolare di partita IVA, ma ereditiero di facoltosi genitori, ai quali va imputato il pagamento dell’auto in questione).
Nel ricostruire la fonte da cui si sono attinte le risorse impiegate, sarà onere del contribuente accertato dimostrare anche che quanto ottenuto da eventuali precedenti dismissioni non sia stato già diversamente impiegato.



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