L’IVA sulle imposte in bolletta è illegittima: va rimborsata. Pioggia di ricorsi in arrivo

In tema di imposte, nessuna norma autorizza lo Stato a incassare la tassa anche sulle accise su gas ed energia elettrica. Ne consegue che non è legittimo pretendere l’Iva su un’imposta in quanto non esiste una legge che lo preveda, chiunque può chiedere di essere rimborsato. Questo è il principio di diritto espresso dal Giudice di Pace di Venezia con il decreto del 9 maggio 2016 in merito all’illegittimità delle imposte sulle accise.
del 03/06/16 -

I fatti di causa.
Tizio, con ricorso, adiva il competente giudice chiedendo la restituzione dell’imposta pagata sull’accise, nella bolletta per l’erogazione di un servizio da parte di alcune società energetiche (Eni Divisione Ga & Power e GDF Suez Energie). Il giudice di Pace, sulla base di un ragionamento e orientamento formato sull’argomento, ha ingiunto (condannato) le società alla restituzione dell’imposta versata dal consumatore. La pronuncia in commento è molto importante in quanto rappresenta un precedente che potrebbe determinare nuovi scenari e soprattutto nuovi ricorsi contro il colosso dell’energia elettrica/gas (Enel). A tal proposito, per comprendere meglio gli effetti di questo provvedimento, è importante soffermarsi sui vari aspetti della questione.

Il problema della vicenda: le tasse sulle tasse.
Preliminarmente giova ricordare che l’accisa è un'imposta che grava sulla quantità dei beni prodotti, a differenza dell'IVA che incide sul valore. Infatti l'IVA è espressa in aliquote applicate al valore del prodotto, l'accisa, invece, si esprime in termini di aliquote rapportate all'unità di misura del prodotto. Premesso ciò, alcune note società (Eni, Edison ecc.,) come altre compagnie fornitrici, non sono produttori di energia ma si limitano ad acquistare il prodotto e a rivenderlo agli utenti. All’atto dell’acquisto, la compagnia di distribuzione paga l’accisa, ossia l’imposta di fabbricazione a canone. Quindi una tassa, che viene “scaricata” dal venditore all’utente. Più correttamente, invece, il costo della vendita della fornitura di energia elettrica o di gas dovrebbe essere ricompreso in fattura nel costo del servizio di vendita e del servizio di rete: così non è, in quanto nella fattura spedita all’utente è messo in evidenza come “imposta”. Addebitando in tal modo un costo come tassa al cliente, quest’ultimo paga un’imposta (finale) anche su un’altra tassa, vale a dire l’IVA sull’accisa. In passato, sul problema in esame, l'autorità Garante, l’AEEG, aveva formulato un regolamento indicativo del comportamento di vendita delle compagnie erogatrici di energia, volto alla formulazione della fattura, e a tale regolamento si sono attenuti i rivenditori. Tuttavia, non è stata però tenuta in alcuna considerazione la sentenza n.238 del 2009 della Corte Costituzionale, con cui veniva esplicitamente dichiarata illegittima l’imposizione dell’IVA su un’imposta. In ottemperanza a tale sentenza l’AEEG avrebbe dovuto modificare il regolamento emanato, onde evitare che comparisse nelle fatture di fornitura di gas o luce un errore di impostazione.

Il prezzo di acquisto e il principio della base imponibile.
Prima del monito espresso dalla Corte Costituzionale, sul problema in esame era intervenuta la Cassazione a Sez. Unite con la pronuncia n.3671 del 29 aprile del 1997. Con tale provvedimento i giudici di Piazza Cavour avevano precisato che per "prezzo di acquisto", ai fini della determinazione della base imponibile, ai sensi dell'art. 52 del R.D.L. 19.10.1938 n. 1933, deve intendersi il corrispettivo versato dall'operatore economico che organizza l'operazione, al netto della componente fiscale. Quindi, se i servizi consistono negli stessi prodotti fabbricati dall'industriale e venduti al commerciante, per prezzo di vendita ai rivenditori, ai sensi dell'art. 128 del R.D.L. n. 1933 del 1938, deve intendersi il corrispettivo in senso civilistico, depurato, quindi, dalla componente fiscale; sicché, secondo la cassazione, un’imposta non costituisce mai base imponibile per un’altra.

Le ripercussioni sulle operazioni di fornitura e i possibili scenari.
Anche se il rimborso a cui si sta facendo riferimento riguarda solo la quota di qualche decina di euro l’anno pagata sulle imposte, tale somma, moltiplicata per dieci anni, diventa comunque significativa per il singolo utente. E moltiplicata per tutti gli utenti italiani diventerebbe una marea di milioni da restituire.
In questo scenario, è doveroso precisare che tale impresa richiede l’assunzione di un avvocato e la preparazione a una vera e propria battaglia in quanto le cose non sono così semplici come sembrano.

Difatti chi fosse intenzionato a effettuare un ricorso potrebbe scegliere due diverse strade:
a) presentare personalmente richiesta di rimborso IVA sulle bollette, chiamando direttamente in causa l’azienda di energia elettrica o di erogazione del gas;
b) oppure partecipare alla class action portata avanti da molti cittadini italiani, finalizzata all’abolizione di questa “tassa sulla tassa”. Bisogna comunque attendere che venga raggiunta la quota di almeno 150mila nominativi prima di poter procedere.

Una situazione delicata: gli effetti sull’economia nazionale.
La situazione adesso è molto delicata, perché nell’eventualità che ogni cliente fosse intenzionato a muovere ricorso contro l’Enel (parliamo di 21 milioni di utenze domestiche), c’è il rischio che si crei un buco nelle tasche dello Stato italiano pari alla cifra di 2 miliardi di euro. Difatti questa sentenza rappresenta un importante precedente e potrebbe estendersi non solo alle bollette dell’energia elettrica e del gas, ma anche alle accise che già paghiamo sui carburanti. Si creerebbe una situazione nuova e potenzialmente pericolosa per il Fisco italiano, costretto a sborsare miliardi ai cittadini del nostro Paese.

Le conclusioni e la tutela dei consumatori.
Dal punto di vista della tutela dei consumatori, secondo i legali che hanno patrocinato la causa (Enrico e Livia Cornelio) la pronuncia “è clamorosa per le ripercussioni che può avere perché apre un nuovo fronte nella difesa del consumatore dai balzelli casuali e non previsti da alcuna norma di legge. Ora il giudice di pace, accogliendo l’istanza di un utente, ha aperto la strada a tutti gli utenti per far loro ottenere il rimborso dell’Iva, indebitamente applicata sulle accise di gas e corrente elettrica. La decisione è netta ed esplicita e chiunque richieda il rimborso, lo otterrà”. Lo stesso legale chiarisce che è la norma comunitaria a ribadire che l’Iva “vada pagata solo su un “prezzo”, sul corrispettivo di una prestazione, non sul trasferimento di un’imposta dal produttore all’utente”.

Alla luce di tutto quanto innanzi esposto si evidenzia che nonostante l’importanza della pronuncia in commento, tuttavia, si deve pur sempre considerare che non è detto che il ricorso vada sempre a buon fine senza trascurare il lungo lasso di tempo e le spese che questi ricorsi comportano; per i consumatori si tratta comunque del recupero di cifre modiche rispetto all’entità del procedimento che si deve affrontare. In attesa di ulteriori sviluppi sull’argomento è opportuno considerare tutti gli aspetti legali e processuali.



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