L'era digitale e le Agenzie di Moda

L’era digitale ha cambiato tante cose. Basta un’e-mail. Leggero come una piuma, rapido come un clic. Offrirsi in immagine è divenuto semplice, poco impegnativo, un gesto da nulla.
del 29/09/08 -

Fino a pochi anni fa, i belli di mamma e le stelle di papà bussavano alle porte delle agenzie di modelle milanesi, un po’ tremanti, portando sottobraccio il photobook. Poi, l’era digitale ha cambiato tante cose. Basta un’e-mail. Leggero come una piuma, rapido come un clic. Offrirsi in immagine è divenuto semplice, poco impegnativo, un gesto da nulla. Le foto meditate dei professionisti si sono rarefatte, ora trionfa il fai-da-te dell’autoscatto. Eppure la porta del successo è sempre quella: la strettoia fatale, l’imbuto, la cruna dell’ago è ancora una fotografia, biglietto da visita che ha solo pochi secondi per imporsi all’occhio allenato ma anche assuefatto e magari annoiato di un selezionatore per catturarne l’attenzione, per fargli alzare un sopracciglio prima che prema il tasto Canc. Gabriele Bertone è serio, ed equanime: dà a tutte le foto lo stesso tempo, prima di decidere quale può accedere alla vetrina elettronica e quale invece finirà nel cestino. Ma quel tempo è pochi secondi. «Questo è un Costantino della De Filippi... Questa è una Katia del Grande Fratello...». Clic, clic, è anche generoso Gabriele, perdona le imitazioni.
Perdona anche i citofoni e gli specchi del bagno. «Cerco di capire se c’è del buono, nonostante il modo in cui tanti si presentano. Bisogna capirli, questi ragazzi non sanno nulla di immagine». Ma come, non sanno nulla. Nascono fra immagini, vivono di immagini, succhiano latte e immagini fin dalla culla. Queste fotografie sono davvero l’immagine migliore che gli adolescenti ambiziosi hanno di se stessi?.
Del resto, ne riempiono i loro blog. Se le scambiano orgogliosi con gli mms. Chi sceglie di presentarsi alla soglia della celebrità con le junk photo, le immagini strapazzone e buttalà, vuol dire che in fondo le apprezza: che si piace così. L’autopercezione di una bella fetta della generazione digitale sembra essere crollata sotto la soglia del decoro estetico. Dopo trent’anni di lavoro come selezionatrice di giovani talenti per gli show Mediaset, Gianna Tani, guru del casting italiano, può confermarlo: «Una caduta a precipizio, ma si capisce perché. Trent’anni fa le modelle erano esseri eterei e irraggiungibili. Chi proprio voleva provarci, doveva elevarsi fino a lassù, migliorarsi, trasfigurarsi. Adesso la televisione apre le porte a tutti. È la tivù che è scesa fino a questi ragazzi: non chiede più a nessuno di cambiare, di migliorarsi, li va a prendere così come sono». Eppure uno sforzo si potrebbe ancora fare, infatti c’è ancora chi lo fa, si vede benissimo, in qualche rara foto tra le migliaia che arrivano a New Faces, che c’è stato un consiglio della mamma, o del fidanzato, che la posa è un po’ più studiata, s’intuisce un ritocchino al computer, compare perfino qualche raro bianco-enero che fa foto d’arte, o un flou alla Hamilton che dà “quel tocco di classe”. C’è ancora qualcuno che decide di investire in quella foto ..Voglia-paura di diventare immagine. Vedersi in fotografia, in fondo, è un’esperienza ancora piuttosto nuova nella millenaria vicenda umana. Osservare il ricalco della propria immagine, proiettato fuori di sé, congelato su una superficie fredda, può ancora far vibrare corde oscure di ataviche superstizioni.
Forse per questo sono diventate così leggere, le “foto nella bottiglia” dei ragazzi che si sognano famosi. Gabriele rivela un fenomeno sorprendente: quando li chiama per comunicare che sono stati selezionati, uno su tre non ricorda neppure di aver spedito la fotografia. Ancora più sorprendente: metà di quelli che pure accettano di venire in Agenzia poi non si presentano. «Non si fanno proprio più vedere né sentire. Svaniscono nel nulla». Perché hanno sprecato il loro tempo, allora? Perché mandare la tua faccia allo sbaraglio, se poi quando esce il tuo numero della lotteria butti via il biglietto? Un’ipotesi: si aspettavano di più, volevano tutto e subito, puntavano alla celebrità pronta cassa, e quando s’accorgono che invece è duro, che c’è un orario da rispettare, che si comincia dalle pubblicità dei pannolini o dalle comparsate di ultima fila, lasciano, delusi. Forse è questo. O forse no. Forse, per chi ha mandato in avanscoperta la propria foto, lo scopo
è raggiunto proprio in quel momento, quando quell’immagine viene scelta, approvata, promossa. Accettata. Allora ci si autoritrae senza posa, per disseminare prove della propria esistenza nel mondo, per sottoscrivere un’assicurazione contro il rischio di svanire nel nulla: siamo tutti Dorian Gray. Ma nell’autoscatto ci promuoviamo da soli: non basta. Chi garantisce che la nostra immagine sia adeguata anche agli occhi degli altri? Sia conforme ai modelli che il mondo ritiene accettabili? Gabriele forse non se ne rende conto, ma il suo ruolo è soprattutto quello di un notaio dell’identità. Con un clic affermativo del suo mouse timbra rassicuranti certezze di autostima…: ora sei diventato un’immagine autorizzata

da un articolo di Michele Smargiassi di Repubblica



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