Intervista al regista Cinematografico Giuseppe Ferrara

Intervista ad uno dei maestri del Cinema Italiano, ovvero il regista Giuseppe Ferrara, regista che negli anni ha diretto film importantissimi quali "Il caso Moro" con Gian Maria Volonté, "Cento giorni a Palermo", "Giovanni Falcone", "Segreto di Stato", "Donne di mafia" e tanti altri film di successo!
del 26/07/07 -

"Guido che sfidò le Brigate Rosse", è il suo ultimo film, che tra varie polemiche e problematiche, lo sta portando a girare L’Italia in lungo e in largo. Parliamo di un inguaribile appassionato cineasta, contagioso entusiasta, colto, semplice e insieme assai profondo, ma “scomodo” per i suoi di denuncia, ovvero: Giuseppe Ferrara, toscano doc dall'inconfondibile, simpatico accento, ma romano d'adozione.

DOMANDA: NON SONO STATE SEMPLICI LE VICISSITUDINI CHE HANNO ACCOMPAGNATO LA SUA ULTIMA FATICA...
RISPOSTA: Mi illudevo di aver fatto, dopo tanti film diciamo così trasgressivi, un lavoro che avrebbe riscosso un generale consenso....e chi non sarebbe stato d’accordo, specie dopo gli arresti della Bocassini, con una pellicola che attaccasse il terrorismo delle Br? Invece no. Con mio stupore devo ammettere di aver fatto ancora una volta un film scomodo.

D: SCOMODO PERCHÉ?
R: La risposta non è facile, posso anche sbagliarmi, però penso che da una parte ci sia una sottovalutazione del fenomeno (nonostante che siamo gli unici in Europa ad avere ancora questo problema) e dall’altra, credo che esista un filobrigatismo diffuso, specialmente in alcuni settori della sinistra. Per es., LIBERAZIONE nel recensire la pellicola è arrivata al colmo di affermare che si tratta di un film “inutile”. Ma come, la Bocassini ha trovato esplosivi, pistole e persino un kalashnikov conservato in tela cerata, insomma c’è ancora qualcuno che si appresta ad uccidere ed un’opera, che vorrebbe essere fortemente dissuasiva e critica nei confronti di tali progetti eversivi, sarebbe inutile? E naturalmente IL MANIFESTO, che a suo tempo andò in brodo di giuggiole per Buongiorno notte" di Bellocchio, ricco di sottotesti filobrigatisti, non ha nemmeno recensito "Guido che sfidò le brigate rosse". Ma la cosa più grave è che la distribuzione nelle sale della pellicola, che difende la democrazia e lo Stato, è stata rifiutata proprio dagli enti di Stato, come l’Istituto Luce e la RAI TV. Mi sono persino rivolto al Presidente della Repubblica, con una lettera aperta piuttosto scandalizzata. Niente. Se il film ha fatto capolino nelle sale nei giorni scorsi, il merito va solo al produttore Carmine De Benedittis, che ha improvvisato una distribuzione, diciamo così, autarchica...
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D: COME STA ACCOGLIENDO IL FILM IL PUBBLICO?
R: Certo non si sono viste folle oceaniche far la coda ai pochi (2) botteghini disponibili a Roma e in quelli (rari) nelle altre città capozona. Il caldo afoso e la mancanza assoluta di pubblicità prevedibilmente non sono stati d’aiuto. Mi consola però la grande richiesta politica che è venuta dal basso, dai sindacati, dai giovani, dai centri culturali, dai piccoli festival regionali. Se volessimo, io e i protagonisti del film, potremmo passare tutta l’estate a presentare e commentare l’opera nelle varie manifestazioni-evento. Ma la cosa bella è l’entusiasmo e la commozione che il film suscita, con manifestazioni di stima e d’affetto che naturalmente mi hanno fatto un grande piacere (altro che film inutile...). Ho ricevuto anche tre premi che ho subito messo in bella mostra sulla mia libreria. Ma la cosa che mi ha gratificato di più, è la bandiera della FIOM regalatami dai metalmeccanici di Imola.
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D: MA IL FILM PUÒ ESSERE TRASMESSO DALLA RAI?
R: Sì, è una delle speranze future più forti. La RAI comunque ne ha acquisito i diritti televisivi e il DVD. E qui bisogna vedere fino a che punto la CGIL potrà valere e volere per crearne un evento televisivo che abbia una sua risonanza e un reale impatto. Non vorrei, come a volte succede, che la pellicola venisse trasmessa in seconda serata e il DVD rimanesse lettera morta.
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D: DAL SASSO IN BOCCA, SUO FILM D'ESORDIO A CENTO GIORNI A PALERMO, AL CASO MORO, AI BANCHIERI DI DIO, PASSANDO PER TRASMISSIONI TELEVISIVE E REPORTAGE SULLA SARDEGNA, MAI TRASCURANDO DI PORRE L'ACCENTO SU INTRECCI MALAVITOSI TRA POLITICA E AFFARI, LOGGE MASSONICHE E TRESCHE VARIE. PERCHÉ IL SUO IMPEGNO VERSO TEMATICHE COSÌ SCOTTANTI: SI TRATTA DI UNA VOCAZIONE?
R: Nel momento che metti l’occhio all’obbiettivo e l’orecchio al microfono, proprio come regista, è chiaro che stai registrando qualcosa che non riguarda solo te, ma i milioni di spettatori che poi vedranno il tuo filmato. Il cinema è un’arte collettiva in sé. Non è possibile dirigere l’obbiettivo sull’ombelico. Sarebbe un tradimento dell’essenza stessa del cinema. In più, forse dalla mia educazione, forse dal fatto di aver avuto un nonno toscano bestemmiatore, nasce in me una spinta insopprimibile a sfidare i “poteri grandi”, soprattutto quelli occulti, che impediscono un reale sviluppo democratico a questo Paese. Forse è illusorio e pretestuoso, ma col cinema vorrei tanto contribuire al cambiamento sociale dell’Italietta narcomassonicomafiosa...
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D: QUALE FILM LE HA DATO PIÙ SODDISFAZIONE NELLA SUA RICCA CARRIERA?
R: Il caso Moro, prima di tutto, anche perché si è avvalso della genialità recitativa di un attore straordinario, Gian Maria Volonté. Ma il film più offensivo e profondo verso la mala Italia credo sia I banchieri di Dio. Penso che nessun regista in questo paese abbia mai osato tanto. Sono sicuro di aver superato il limite,e perciò, come per Il caso Moro, mi abbiano messo all’indice, diciamo anche in punizione. Per esempio la magistratura romana mi ha condannato, insieme alla mia sceneggiatrice Armenia Balducci, a pagare circa 120.000 Euro a Contrada per “aver offeso il suo onore”, nel film Giovanni Falcone. È una enormità, dato anche che Contrada è stato condannato a 10 anni di carcere per associazione mafiosa e legalmente, quanto all’onore, non dovrebbe essergliene rimasto molto. Eppure è così. Faccio film contro la mafia e per questo vengo punito. Chi è che dice che l’Italia è una Paese a rovescio?... Purtroppo ha ragione.
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D: RITIENE CHE IL CINEMA TRA GLI ALTRI COMPITI, POSSA CONTRIBUIRE A CREARE UNA COSCIENZA CRITICA?
R: Lo ritengo con tale e tanta convinzione, che è uno dei motivi più forti per i quali esercito la mia professione.
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D: QUANTO IMPIEGA IN MEDIA PER REALIZZARE UN FILM, DAL MOMENTO DELL'IDEAZIONE ALLA DISTRIBUZIONE FINALE?
R: Un anno di preparazione e sei mesi per girarlo e terminare l’edizione. Per il film su Rossa c’è voluto un anno in più per arrivare a distribuirlo (malamente) nelle sale.
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D: INDISCREZIONI MI DICONO DI UN NUOVO FILM SEMPRE IMPEGNATO, MA ABBASTANZA DIVERSO DA QUELLI A CUI CI HA ABITUATO...
R: Sì, sto preparando una storia abbastanza insolita. Ma chi non si rinnova è perduto. Sto pensando a rievocare un antico costume sardo di eutanasia ante litteram, sulla base di un libro bellissimo di Nino Murineddu, fortemente antropologico e seriamente documentato. Ho già scritto la sceneggiatura con una giornalista di razza come Floriana Mastandrea e la consulenza di esperti del costume sardo quali Bachisio Bandinu e Franco Fresi. Il mondo magico della cultura nuragica e addirittura prenuragica mi ha attratto fin da tempi remoti. Da quando cioè ho realizzato un documentario sull’arza o argia (una specie di mitica tarantola) dal titolo Il ballo delle vedove. In quel cortometraggio mi avvalsi della collaborazione di Ernesto De Martino, e fu un incontro decisivo per la mia formazione e per questo film che mi appresto a realizzare. Che ha al centro una figura straordinaria di donna, la femmina acabbadora, una sciamana che ha il potere della “parola”, dello “sguardo”, dell’interpretazione dei sogni, della premonizione e soprattutto è amministratrice di vita e di morte. Svolge insieme le funzioni di levatrice e di finitrice (in spagnolo acàbar significa finire). Questa donna enigmatica, insieme pagana e cristiana, vive un’intensa storia d’amore, piena di malia e di incantamento, con un uomo che poi, anche per il suo ministero quasi sacerdotale, è costretta a lasciare. Tanti anni dopo verrà il momento che da acabbadora dovrà, con il consenso dell’amante, ormai divenuto un malato terminale, dargli la dolce morte.
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D: PENSA AD UN RINNOVAMENTO ANCHE STILISTICO?
R: Questa volta voglio compromettermi : l’Eisenstein di Que viva Mexico, potrebbe essere l’ispirazione stilistica principale. Senza naturalmente dimenticare i maestri del neorealismo. Penso al De Seta di Banditi a Orgosolo e anche, può sembrare strano ma in effetti è conseguenziale, all’Olmi dell’Albero degli zoccoli. Dico questo per far capire dove vorrei portare l’indagine, ma a prevalere sarà l’immensa forza della cultura sarda, non so, mi vengono anche in mente i bronzi nuragici e l’architettura che stava loro dietro e che li ha prodotti.



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