Intervista a giovanni battista rigon

Un'intervista al Direttore artistico delle Settimane Musicali al Teatro Olimpico di Vicenza per parlare della XVIII Edizione del Festival che si inaugura a Vicenza il 20 maggio e che porta al termine un ideale "Viaggio in Italia”, iniziato nel 2007 a Venezia, con tappa a Roma nel 2008, approdando, quest’anno, a Napoli.
del 07/04/09 -

Com’è nata l’idea di questo viaggio musicale, filo conduttore delle ultime tre edizioni del festival? Può sembrare forse un luogo comune, ma l’Italia è da sempre considerata “la patria della musica classica”. Anche se noi italiani di oggi non sempre ne siamo consapevoli fino in fondo, il nostro paese ha dato moltissimo, nel corso della storia, alla musica, oltre che naturalmente all’arte in generale. Si pensi solo, ad esempio, che ancora oggi in tutto il mondo si usano i termini italiani Allegro, Adagio, Concerto, Opera. L’Italia ha rappresentato per molti artisti stranieri, in particolare nell’ottocento, una sorta di “viaggio iniziatico”. Era una tappa obbligata che segnava simbolicamente il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. E proprio ai molteplici artisti e musicisti che hanno provato l’esperienza di un viaggio in Italia, mi sono ispirato per l’ideazione di questo progetto artistico triennale.
Accanto a questo, inoltre, le Settimane musicali hanno da sempre come scopo primario quello di valorizzare il nostro patrimonio musicale, sia a livello compositivo, promuovendo l’esecuzione di musiche di autori italiani ingiustamente trascurati (come gli autori del nostro novecento storico, da Casella a Wolf Ferrari, ad esempio), sia a livello esecutivo, invitando i migliori esecutori italiani attualmente in attività. Il programma del festival si caratterizza per una grande eccletticità: dalla musica da camera, alla sinfonica, progetti speciali, opera, conferenze, sempre “condite” con ingredienti speciali e innovativi. Quali le novità e le sorprese di quest’anno? Dopo quasi 60 anni di assenza, nel 2004 siamo riusciti a riportare l’opera lirica al Teatro Olimpico, e quest’anno addirittura si triplica. In cartellone, infatti, tre opere, tutte legate al tema di Napoli. Novità di rilievo sono il progetto “Raccontare la musica”, in una serata con Sandro Cappelletto e i madrigali di Gesualdo da Venosa e il progetto ”Opera Giovani” con la partecipazione di cantanti selezionati tra i migliori allievi delle accademie di canto di tutta Europa. Per la sezione opera vengono proposte ogni anno edizioni particolari di opere di repertorio. Cosa ci proporrà quest’anno? Nel programma di quest’anno, tre opere tutte legate alla “tappa” napoletana del nostro “Viaggio in Italia”: “Il turco in Italia” di Rossini, “Il finto turco” di Piccini e “Il matrimonio segreto” di Cimarosa. Rispettando la tradizione del Festival vengono proposte opere di particolare interesse a livello musicologico oltre che musicale. Il Turco in Italia di Rossini, opera certo non dimenticata, viene proposto in una versione inedita, ripresa per la prima volta dal libretto relativo alla prime rappresentazioni napoletane del 1820, al Teatro Nuovo sopra Toledo. Ci sono in questa edizione alcuni importanti cambiamenti rispetto alla versione che si ascolta di solito, tra cui l’inserimento di un’aria da L’italiana in Algeri, il fatto che tutti i recitativi diventino dei parlati e che uno dei personaggi parli e canti in… napoletano! Nel caso dell’opera di Piccini si tratta, addirittura, di una prima esecuzione in tempi moderni, di cui il festival ha promosso il recupero dai manoscritti conservati al San Pietro a Majella di Napoli. Più tradizionale, invece, il capolavoro di Cimarosa, quel Matrimonio segreto che a quanto mi risulta è l’unica opera della storia ad essere stata bissata per intero al suo debutto a Vienna nel 1792. Il Festival ha sempre mostrato una grande attenzione anche per i giovani interpreti, a volte è perfino servito come trampolino di lancio per giovani artisti. Qual è la situazione per i giovani musicisti oggi, secondo lei? La situazione è certo difficile, anche se forse non più difficile di quanto lo sia per l’inserimento lavorativo dei giovani in altri settori, almeno nel nostro paese. Al di là dell’attuale momento di crisi, l’Italia paga lo scotto di una quasi totale mancanza di educazione musicale di base, nella scuola elementare, media e superiore. E’ paradossale che in un paese europeo si possa prendere un diploma di maturità potendo del tutto ignorare chi siano stati Bach, o Beethoven o Giuseppe Verdi, figura importantissima della storia italiana, non solo musicale. Sono del tutto ignorati anche i vantaggi in termini di sviluppo neuro-intellettuale e psicomotorio che l’apprendimento della pratica musicale, fin dalla tenera età, può dare. L’Italia sarà stato anche “il paese della musica” nel passato, ma attualmente è il paese in cui è più difficile trovare musicisti non professionisti che suonino per passione uno strumento musicale. In un panorama di base così desolante, come evitare che la musica colta, ma anche la cultura più in generale, venga considerata un optional e offra poche opportunità di lavoro ai giovani? Le Settimane Musicali cercano, da qualche anno, di impegnarsi in questo con il “Progetto Giovani”, facendo lavorare giovani esecutori. E riguardo al pubblico? Come si può costruire il pubblico di domani in una società in cui la scuola non è di grandissimo aiuto per la diffusione della cultura musicale, lasciata spesso alle passioni specifiche dei singoli insegnanti? Nonostante la situazione non proprio rosea, non mi piace però che ci si pianga troppo addosso: dobbiamo tutti pensare in positivo, provare a seminare. Negli ultimi anni molto è stato fatto, per esempio, nelle scuole medie sperimentali ad indirizzo musicale. Anche i conservatori, a mio modo di vedere, dovrebbero attivarsi per raggiungere ed offrire opportunità formative a fasce di popolazione, come i bambini in età prescolare e di scuola elementare o i pensionati, che sono generalmente preda della demenzialità vacua dei programmi televisivi di bassa lega. Si dovrebbe cercare di lavorare per una grande campagna di educazione nazionale, ispirandosi ad esempi virtuosi di divulgazione culturale come i programmi televisivi di un Piero Angela o, per rimanere in ambito musicale, agli Young people’s concerts condotti da Leonard Bernstein. La musica colta è un patrimonio comune, che quasi tutti sono in grado di apprezzare se si trova il modo di farla “arrivare” al pubblico. Nel nostro piccolo dedichiamo uno spazio importante anche alla divulgazione musicale attraverso conferenze con musicologi come Carli Ballola, Foletto, Girardi, Suozzo che possano “raccontare” in modo semplice e chiaro la musica.
Sono convinto che più persone arriveranno ad apprezzare il bello, non solo musicale, più la nostra società sarà civile.

In “tempi di crisi” in cui gli enti lirici sono costretti a fare sciopero, qual è il destino di un festival come questo dell’Olimpico? Si sente la crisi? Noi alle Settimane siamo sempre stati abituati a produrre le nostre stagioni con poche risorse, quindi forse la crisi la sentiamo meno, abituati come siamo a lavorare da sempre con sobrietà. Questo non vuol dire però che ne risente la qualità. Ci dovrebbe essere un “giusto mezzo” in cui gli artisti, gli amministrativi, i tecnici e tutti coloro che sono coinvolti nel lavoro complesso di ideare, gestire e pubblicizzare un evento musicale, siano remunerati per la propria professionalità. Ho sempre cercato di mirare a questo, nei limiti dei nostri budget, ad esempio nel rapporto con i giovani artisti, spesso sfruttati anziché valorizzati. C’è da dire che anche qui è un fatto di cultura: lei lo troverà mai un idraulico o un elettricista che viene a casa sua a farle dei lavori gratis? Però spesso ai musicisti, specie se giovani, questo viene richiesto… Perché, il loro non è un lavoro come gli altri? Il Festival si svolge in uno dei monumenti più belli e significativi della città. Il teatro Olimpico, infatti, è un po’ un cuore pulsante nella città. Com’è vissuto dalla città di Vicenza? Viene sentito ormai come appuntamento stabile e consolidato della città? Come Settimane Musicali siamo presenti a Vicenza da quasi vent'anni, e non è poco. L'altra grande esperienza festivaliera tentata in città, negli anni ottanta, il Festival Mozart, durò solo qualche anno, affossato da difficoltà economiche e da una città che, in fondo in fondo, non lo aveva mai sentito veramente "suo". Noi stiamo cercando, soprattutto in questi ultimi anni, pur tenendo sempre presente l'obiettivo prioritario che è quello di creare un festival di caratura internazionale, di non perdere il contatto con le realtà musicali che operano sul territorio, alcune delle quali esprimono un livello di qualità delle proposte veramente notevole. E’ il caso della collaborazione con l'Associazione Mousikè per il Progetto Bach, dell'Arte dell'Arco per l'opera del settecento, del gruppo De Labyrintho per il Progetto “Raccontare la musica . Progetti per il futuro? Ogni anno vengono invitati in occasione del Festival artisti di fama a livello nazionale ed internazionale. C’è un sogno nel cassetto? Qualcuno che non è ancora passato per il palcoscenico dell’Olimpico e che vorrebbe invitare? I sogni sono sempre tanti ed è giusto che ci siano, altrimenti si perde, a mio avviso, lo stimolo a crescere e a migliorare. Solo pochi mesi fa abbiamo avuto il grande privilegio di ospitare, in un Concerto Straordinario organizzato per presentare alla città il nostro programma 2009, Martha Argerich, forse la più grande pianista oggi in attività, che mancava da Vicenza da più di 30 anni: uno dei sogni che si è avverato. Altro sogno che coltivavo da anni era quello di essere ammessi nell'EFA (European Festival Association). Abbiamo sempre guardato con ammirazione, come dei modelli da imitare, gli altri festival italiani che ne fanno parte tra cui per citarne alcuni, Pesaro, Stresa, MiTo, Brescia e Bergamo, ed ora, dal 2007 ne facciamo parte! E siamo l’unico festival del Veneto! Mi auguro che in futuro altri sogni come questi si possano realizzare, contribuendo così a rendere sempre più preziose e ricche le Settimane

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