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Fisdir: la Federazione per gli atleti con disabilità intellettiva e relazionale

Intervista al Presidente della Fisdir, la Federazione Italiana Sport Disabilità Intellettiva Relazionale, nell'ambito dello sport per disabili
del 21/02/12 -

Lo sport talvolta può ricoprire una valenza sociale non da poco arrivando ad appianare ogni differenza culturale e fisica tra individui e riportando tutto ad un piano meramente egualitario dove a prevalere è chi merita: in quest’ottica si può facilmente intuire l’importanza che assume lo sport per disabili nell'ottica della ricerca di un’integrazione che a livello sociale spesso non è adeguata.
La Fisdir, (Federazione Italiana Sport Disabilità Intellettiva Relazionale) è la federazione sportiva Paralimpica cui è affidata l'attività sportiva per gli atleti con disabilità intellettiva e relazionale: per capire meglio di cosa si occupa e come opera nell’ambito delle sue funzioni ci rivolgiamo a Marco Borzacchini, Presidente Federale della Fisdir e Vice Presidente per il Comitato Italiano Paralimpico.
Presidente, prima di tutto cosa si intende quando si parla di disabilità intellettiva e relazionale?
“Questa definizione comprende tutti quelli che hanno un ritardo mentale, che è scientificamente suddiviso in 3 categorie: lieve, moderato e grave. Il ritardo lieve comprende l’85% di persone con ritardo mentale. Per ritardo mentale si intende persone con un quoziente intellettivo sotto 75, persone con difficoltà adattative, ma soprattutto a cui sia stato diagnostica il ritardo prima del 18esimo anno di età; perché, oltre questa soglia, sconfiniamo ed andiamo nella psichiatria che è tutt’altra cosa.”
La vostra federazione, la Fisdir, quali di queste categorie rappresenta nello specifico?
“La nostra federazione si occupa di tutti i 3 tipi di ritardo: per l’attività agonistica, che è un’attività di alto livello, abbiamo diviso gli atleti con ritardo mentale in 2 categorie: la classe c-21, ragazzi con sindrome di down, ed un’altra classe che riguarda tutti gli altri.”
Quante discipline sportive rappresentate?
“Copriamo 19 discipline: la nostra è una federazione si occupa di disabili con una patologia specifica. Ci sono altre federazioni all’interno del Comitato Paralimpico che invece rappresentano discipline indipendentemente dalla disabilità. Noi in quanto Fisdir abbiamo 11 discipline di tipo agonistico più una lunga serie di discipline nel settore promozionale. Poi ci sono altre federazioni olimpiche cui abbiamo demandato la competenza specifica su alcune discipline, ad esempio il canottaggio.”
Si cerca quindi di inserire questi atleti all’interno delle Federazioni Olimpiche per metterli a contatto con una certa ‘normalità’?
“La tendenza è proprio cercare di normalizzare l’attività di queste persone sotto il profilo dello sportivo visto che, a quei livelli, non è più un gioco ma è uno sport a tutti gli effetti. A differenza delle altre disabilità, il ritardo mentale non ha problemi di carattere motorio: tutti i nostri atleti di maggior livello si allenano con le federazioni corrispondenti, seguendo quello che è stato lo sviluppo progressivo che ha avuto il Comitato Paralimpico. Il tutto per portare gli atleti ad un livello di normalizzazione all’interno di strutture dove loro abbiano occasione di confrontarsi con i normali: e non sempre perdono.”
Quali difficoltà si incontrano in questa opera di inserimento?
“Il problema maggiore è culturale: si tratta di capire se le federazioni sportive dimostrano di avere la capacità di accogliere i ragazzi con disagio intellettivo e fargli fare attività sportiva. La tendenza negli anni sarà quella di fare in maniera che questi ragazzi possano svolgere la loro attività all’interno di un ambiente il più possibile normalizzato, quale quello di una federazione olimpica.”
C’è quindi una maggiore ricerca dell’aspetto prettamente sportivo?
“Negli ultimi anni abbiamo inteso recuperare proprio questo aspetto: gli atleti hanno dimostrato che sono in grado di realizzare delle vere e proprie performance sportive di altissimo livello. Quelli con la sindrome di down nella classe c-21 per fare un esempio, corrono i 100 metri in 13,93 secondi: come è evidente non può essere solo un gioco, ma una performance sportiva con tutti i crismi del caso che richiede allenamento duro.”
Questa maggiore attenzione all’aspetto sportivo sta dando anche risultati concreti sotto l’aspetto strettamente agonistico?
“Negli ultimi 3 anni abbiamo vinto 148 medaglie a livello internazionale: noi in quanto Fisdir siamo partiti da zero, molto tardi. I primi 4 anni siamo riusciti a fare poco e niente per il grande gap con le altre federazioni a livello internazionale. Poi nell’arco di 2 anni, dal 2009 al 2011 siamo cresciuti rapidamente: nei Global Games del 2009 avevamo ottenuto 0 medaglie, da quelli del 2011 siamo tornati a casa con 10 medaglie.”
Parlando più in generale di sport e disabili, non c’è forse troppo poca attenzione da parte dei maggiori organi di informazione verso questo mondo?
“Il problema non riguarda solo lo sport per disabili: ci sono discipline dei cosiddetti ‘normali’ di cui ci accorgiamo una volta ogni 4 anni.Essendo italiani d'altra parte siamo al 99% calciofili, l’attenzione per gli altri sport è minore. Anzi, devo dire che dopo le paraolimpiadi di Torino 2006 c’è stato un livello di attenzione da parte dei media più alto verso lo sport per disabili. A livello di comunicazione il problema che ci troviamo ad affrontare è che dobbiamo spiegare quello che facciamo, far capire cos’è la disabilità intellettiva, cosa si intende e come questa si possa sposare con lo sport.”
Voi in quanto Fisdir dipendete dal Comitato Paralimpico anche per i finanziamenti: riuscite a sopravvivere tramite questi?
“Siamo una delle federazioni paraolimpiche del Comitato, la più grande per l’esattezza, e da questo veniamo regolarmente finanziati. Poi abbiamo anche l’autofinanziamento e piccole sponsorizzazioni. Al di là di piccoli ritardi con cui lo stato sta erogando i contributi, i finanziamenti che ci fornisce il Comitato Paralimpico ci hanno sempre consentito di svolgere attività senza alcuna problematica.”
Torniamo a parlare dei ragazzi con ritardo con disabilità intellettiva e relazionale: è possibile delineare alcune caratteristiche comuni di queste persone?
“Iniziamo dicendo che ragazzi con ritardo mentale sono nettamente in prevalenza rispetto a tutte le altre disabilità: poi mentre i ragazzi down o con menomazioni li vedi e li riconosci subito, i ragazzi border-line non li riconosci, all’apparenza sono assolutamente ‘normali’. La maggior parte di queste persone border line è concentrata nelle zone dove ci sono forti sacche di disagio. In Italia ad esempio, la più alta concentrazione si riscontra nel meridione. Si tratta di persone che hanno vissuto dei traumi nell’età evolutiva. E quello che accade in quel periodo della vita non viene rimosso facilmente.”
Parlando di attualità, come vi ponete verso una eventuale candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2020?
“Accettare le Olimpiadi significa farsi carico dell’onere di organizzare anche le Paralimpiadi; le due cose sono strettamente connesse, non si può più scindere. Basti pensare che Obama ha perso le Olimpiadi a vantaggio del Brasile perché il progetto sulla Paralimpiadi è stato valutato scadente.”
In conclusione, quale potrebbe essere la strategia migliore per integrare i disabili nel mondo dello sport? Ritiene che organizzare eventi ‘misti’ durante i quali atleti normodotati gareggiano con i disabili della medesima disciplina potrebbe essere una soluzione?
“Si, potrebbe essere senz’altro una delle soluzioni, ma dipende come la si imposta: se io ad esempio, prendo un calciatore di successo gli faccio fare una foto con un ragazzo down, fatto salvo il bel gesto non ho concluso niente. Sarebbe interessante invece inserirlo in un evento sportivo. Altrimenti sconfiniamo nella compassione, viceversa noi puntiamo all’integrazione. Ecco perché vorrei portare al Golden Gala di Roma una gara con i migliori 8 down velocisti del mondo: perchè all’interno di un contenitore professionistico puoi apprezzare quello che fanno a tutto vantaggio dell' integrazione. Non devi mai sconfinare nella pietà e nella compassione; se lo fai è finita.”



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