Fibra ottica: nuove opportunità di guadagno per i condomini. Ecco i dettagli per «far cassa»

Le società che intendano installare nelle parti comuni tutti i dispositivi necessari a gestire i collegamenti della rete, provvederanno a sottoscrivere con i proprietari o il condominio-gestore un apposito contratto di locazione
del 30/03/16 -

Com’è noto, lo scorso 10 marzo è entrato in vigore il D.lgs. 15 febbraio 2016, n. 23. Il provvedimento di Attuazione della direttiva 2014/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, recante misure volte a ridurre i costi dell’installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità.

Si rammenta in proposito che, dal 1° Luglio 2015, è operativa la legge 11 novembre 2014, n. 164, di
conversione del d.l. 11 settembre 2014 (cd. Decreto Sblocca Italia), n. 133, recante Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive, che obbliga a realizzare, in tutti gli edifici nuovi e in quelli sottoposti ad interventi di profonda ristrutturazione, un’infrastruttura fisica multiservizi interna agli edifici e accessi per le comunicazioni elettroniche a banda larga e ultra larga.

I condomini cablati: “gestori di infrastrutture”. Nel d.lgs. n. 33/2016, all’art. 8, comma 1, si stabilisce ora che i proprietari di unità immobiliari, o il condominio ove costituito in base alla legge, di edifici che siano «predisposti alla banda larga» – in quanto dotati, dalla loro costruzione o per successivi, specifici interventi, di «un’infrastruttura fisica multiservizio passiva interna all’edificio, costituita da adeguati spazi installativi e da impianti di comunicazione ad alta velocità in fibra ottica fino ai punti terminali di rete» (art. 135-bis, d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380, inserito dall’art. 6-ter, comma 2, del citato Decreto Sblocca Italia) – «hanno il diritto, ed ove richiestone, l’obbligo, di soddisfare tutte le richieste ragionevoli di accesso presentate da operatori di rete, secondo termini e condizioni eque e non discriminatorie, anche con riguardo al prezzo». Analoghe sono le previsioni nell’ipotesi in cui il condominio, anche di edifici esistenti, si doti autonomamente di un impianto multiservizio in fibra ottica e di un punto di accesso.
La nuova norma, sotto tale profilo, equipara dunque i proprietari, o il condominio ove costitutito, di immobili già cablati ai gestori di infrastrutture (in tal senso si esprime la Relazione illustrativa al provvedimento), riconoscendo loro il diritto – e ponendo altresì a loro carico l’obbligo – di consentire l’accesso all’infrastruttura medesima da parte degli operatori di rete.

Si rammenta infatti che l’art. 3, d.lgs. n. 33/2016, in materia di Accesso all’infrastruttura fisica esistente, stabilisce che i gestori di infrastruttura fisica (ossia, le imprese o enti pubblici che forniscono servizi relativi a gas, elettricità, acqua e trasporti) hanno il diritto di offrire agli operatori di rete (imprese autorizzate a fornire reti pubbliche di comunicazione) l’accesso alla propria infrastruttura fisica (comma 1); i gestori di infrastrutture fisiche dovranno peraltro concedere l’accesso agli operatori di rete ove questi presentino per iscritto domanda di installazione di elementi di rete (comma 2). Si segnala peraltro che, in tal caso, l’accesso può essere rifiutato, con comunicazione scritta entro il termine fissato dalla legge, solo in presenza dei motivi individuati dalla norma medesima (oggettiva inidoneità dell’infrastruttura fisica ad a ospitare gli elementi di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità; indisponibilità di spazio per ospitare gli elementi di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità; possibili rischi per l’incolumità, la sicurezza e la sanità pubblica, o per l’integrità e la sicurezza delle reti; disponibilità di mezzi alternativi all’accesso).

Come ribadito dalla menzionata Relazione illustrativa, «l’accesso all’infrastruttura fisica è, in via generale, oneroso», secondo quanto previsto dalla Direttiva di riferimento; e si chiarisce altresì che «il prezzo di accesso debba essere equo e orientato ai costi generati per il gestore dell’infrastruttura fisica, che deve restare indenne da pregiudizi economici».
Tornando all’ipotesi di cui all’art. 8 (infrastrutturazione fisica interna all’edificio), agli operatori di rete è inoltre riconosciuto il diritto di installare la rete a proprie spese, fino al punto di accesso (art. 8, comma 2); se invece la duplicazione è tecnicamente impossibile o inefficiente sotto il profilo economico, essi hanno diritto ad accedere all’infrastruttura fisica interna all’edificio esistente per installare una rete di comunicazione elettronica ad alta velocità (comma 3). Qualora, invece, non sia presente un’infrastruttura interna all’edificio per l’alta velocità, i fornitori di reti pubbliche possono far terminare la propria rete nella sede dell’abbonato, previo accordo con lui e purché provvedano a ridurre al minimo l’impatto sulla proprietà privata di terzi (comma 4).

L’obiettivo è di «agevolare la disponibilità di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità fino all’utente finale, garantendo la neutralità tecnologica, in particolare attraverso le infrastrutture fisiche interne agi edifici predisposte all’alta velocità», in considerazione del costo nettamente più contenuto di posa di mini-condotti durante la costruzione di un edificio rispetto ad adattamenti successivi (Considerando 29 della Direttiva, come riportato nella Relazione illustrativa al d.lgs. n. 33/2016) – finalità al cui perseguimento mira del resto la previsione del Decreto Sblocca Italia in termini di obbligo, per i nuovi edifici e per quelli interessati da una profonda ristrutturazione, di dotarsi di una tale infrastruttura di comunicazione e di un punto di accesso.

Si può quindi ipotizzare che, concretamente, le società che intendano installare nelle parti comuni tutti i dispositivi necessari a gestire i collegamenti della rete, analogamente a quanto accade per l’ipotesi dei ripetitori per la telefonia mobile, provvederanno a sottoscrivere con i proprietari o il condominio-gestore un apposito contratto di locazione al fine di regolare le reciproche posizioni. Si cita al riguardo il Considerando 30 della Direttiva, il quale ritiene che «Per aiutare potenziali acquirenti e locatari ad individuare gli edifici dotati di infrastruttura fisica interna all’edificio predisposta per l’alta velocità e che hanno pertanto notevoli possibilità di risparmio sui costi, e al fine di promuovere la predisposizione all’alta velocità degli edifici, gli Stati membri dovrebbero poter sviluppare un’etichetta volontaria di “predisposizione alla banda larga” per gli edifici dotati di una tale infrastruttura e di un punto di accesso in conformità con la presente direttiva».


La nuova disciplina condominiale: parti comuni e quorum Si ricorda che il legislatore della riforma condominiale, intervenendo sull’art. 1117 in materia di parti comuni, ha introdotto un elenco maggiormente dettagliato ed articolato, ricomprendendovi anche gli impianti centralizzati per la ricezione radio TV e per l’accesso ad ogni genere di flusso informativo, anche satellitare o via cavo, nell’evidente intento di aggiornare la disposizione civilistica alle nuove tecnologie prepotentemente entrate nelle nostre case e di renderla più coerente con le previsioni del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, che mirava a ridurre il divario digitale mediante una serie di semplificazioni procedurali ed alleggerendo adempimenti ed autorizzazioni, al fine di favorire la diffusione della banda ultralarga, connessioni wireless e nuove tecnologie di connessione (c.d. “pacchetto tlc”)

Pertanto, per effetto della nuova disposizione, anche l’installazione, nei locali condominiali, di apparati o manufatti delle società concessionarie per il passaggio dei cavi della banda larga deve considerarsi un impianto comune, con conseguente conferimento all’assemblea dei condomini della competenza decisionale in materia. Infatti, a norma del nuovo art. 1120, comma 2, c.c., «I condomini, con la maggioranza indicata dal secondo comma dell’articolo 1136 [maggioranza degli intervenuti e almeno metà del valore dell’edificio], possono disporre le innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, hanno ad oggetto: […] 3) l’installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino alla diramazione per le singole utenze, ad esclusione degli impianti che non comportano modifiche in grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto».

Proprio in ragione della diffusione e della crescente importanza dei nuovi mezzi di comunicazione, il legislatore era in realtà già intervenuto a chiarire la questione delle maggioranze necessarie per l’installazione di detti impianti, con la l. 20 marzo 2001, n. 66, recante disposizioni in materia di trasmissioni radiotelevisive digitali su frequenze terrestri e di sistemi audiovisivi terrestri a banda larga: in particolare, l’art. 2-bis, comma 13, – modificato nel quorum deliberativo per garantirne la congruità alle nuove maggioranze assembleari di cui alla riforma della disciplina condominiale – dispone che «al fine di favorire lo sviluppo e la diffusione delle nuove tecnologie di radiodiffusione da satellite, le opere di installazione di nuovi impianti sono innovazioni necessarie ai sensi dell’art. 1120, comma 1, c.c. Per l’approvazione delle relative deliberazioni si applica l’articolo 1120, secondo comma, dello stesso codice. Le disposizioni di cui ai precedenti periodi non costituiscono titolo per il riconoscimento di benefici fiscali». (Nel testo previgente, le delibere aventi ad oggetto l’installazione di tali impianti richiedevano, ai fini della loro approvazione, la maggioranza di cui al “vecchio” art. 1136, comma 3, ossia un numero di voti rappresentativo di un terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell’edificio).
Non si potranno quindi richiedere maggioranze più alte né quando la spesa sia rilevante né quando si dia luogo ad opere che modifichino significativamente le parti comuni.

Resterebbe tuttavia in dubbio la posizione di coloro i quali non erano collegati al vecchio impianto, o semplicemente non hanno prestato il loro consenso all’innovazione: in virtù del nuovo dettato normativo, tali interventi non potrebbero mai considerarsi innovazioni voluttuarie, rientrando tale intervento tra le decisioni ordinarie e coinvolgendo tutti i condomini nella titolarità dell’impianto medesimo, con i relativi oneri.

Dott.ssa Marta Jerovante (condomionioweb.com)



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