Disabilità e sport

Questa riflessione sullo sport praticato da persone con disabilità non si concentrerà sulle sue potenzialità riabilitative, socializzanti e psicologiche. Il nostro intento vuole offrire un breve spunto di riflessione legato al concetto di sport come diritto umano della persona con disabilità e come uno dei possibili obiettivi di vita che questa può raggiungere in un momento qualsiasi della propria vita. Sport come diritto di tutti, a prescindere dalle proprie condizioni di salute.
del 15/05/12 -

Questa riflessione sullo sport praticato da persone con disabilità non si concentrerà sulle sue potenzialità riabilitative, socializzanti e psicologiche. Il nostro intento vuole offrire un breve spunto di riflessione legato al concetto di sport come diritto umano della persona con disabilità e come uno dei possibili obiettivi di vita che questa può raggiungere in un momento qualsiasi della propria vita. Sport come diritto di tutti, a prescindere dalle proprie condizioni di salute.
Che lo sport abbia un innegabile valore nel complessivo benessere di una persona è un assioma sanitario, riconosciuto da una pluralità di trattati internazionali. E che, in particolare, abbia ricadute positive nelle possibilità di riabilitazione e abilitazione delle persone con disabilità è un’altrettanta verità, tanto che, a livello internazionale, viene riconosciuto un speciale status alle «attività fisiche adattate», ossia attività fisiche e sport mirati ad interessi e capacità di persone che hanno specifiche caratteristiche di salute(1).
Sarebbe riduttivo, tuttavia, pensare allo sport praticato da persone con disabilità solo come una delle possibili vesti che assume un’attività con valenza riabilitativa. La possibilità di praticare attività sportiva (ludica o agonistica) è, per le persone con disabilità, anzitutto un diritto umano fondamentale, riconosciuto, da ultimo, dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità(2).
È l’articolo 30 della Convenzione dell’ONU a parlare di sport e lo include tra un’altra serie di attività che sono altrettanti diritti fondamentali per le persone con disabilità: la cultura, le attività ricreative e il gioco. Non quindi – o quantomeno non solo – un modo alternativo di fare riabilitazione o abilitazione (la Convenzione, infatti, dedica a tali attività l’articolo 26)(3). Poter praticare attività sportive, a qualsiasi livello, è prima di tutto un diritto umano che trova la propria soddisfazione nelle effettive possibilità che ogni persona con disabilità ha di sperimentare un’attività sportiva all’interno del proprio progetto di vita, al pari di chiunque altro.
Nello specifico, il comma 5 dell’articolo 30 della Convenzione precisa che gli Stati parte(4) hanno dei compiti precisi per permettere alle persone con disabilità di partecipare alle attività sportive e ricreative:
 incoraggiare e promuovere la partecipazione più estesa possibile delle persone con disabilità alle attività sportive ordinarie a tutti i livelli;

(1) L’attività sportiva è estremamente funzionale alla salute, intesa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come «uno stato di completo benessere fisico, psichico, sociale e non solo l’assenza di malattie» (OMS, 1948), e riconosciuta dalla Costituzione Italiana come «un diritto fondamentale dell’individuo e un interesse della società» (Costituzione Italiana, 1948). Tuttavia, solo alla fine degli anni Novanta del XX secolo, vengono stabiliti princìpi e attività fondamentali dell’attività fisica adattata (il cui acronimo internazionale è APA – Adapted Physical Activity). L’importanza dell’attività fisica in relazione all’invecchiamento in buona salute, viene poi confermata e riconosciuta dall’OMS al IV Congresso Internazionale sull’Attività Fisica, l’Invecchiamento e lo Sport, tenutosi ad Heidelberg (Germania), nel 1996.

(2) La Convenzione dell’ONU è stata approvata a New York il 13 dicembre 2006. L’Italia l’ha ratificata con Legge n. 18 del 3 marzo 2009.

(3) L’articolo 26 distingue la riabilitazione dalla abilitazione: la riabilitazione è legata alla tradizionale offerta di servizi riabilitativi che intervengono per «ri-abilitare» una funzione del corpo compromessa da un evento traumatico o morboso. L’intervento abilitativo, invece, potenzia altre capacità della persona, non legate all’evento traumatico o morboso, ma alla nuova condizione della persona stessa. In altre parole, quindi, una persona viene «riabilitata», «re-insegnandole» a compiere una funzione persa o danneggiata, mentre viene «abilitata» insegnandole ad utilizzare gli ausili e le strategie che la nuova condizione richiede (l’insieme degli interventi volti a favorire l’acquisizione e l’apprendimento di abilità specifiche, come, ad esempio, tecniche di vestizione, training per la conduzione di mezzi di mobilità e così via).

(4) Ossia gli Stati che hanno adottato la Convenzione come legge del proprio ordinamento.

 garantire che le persone con disabilità abbiano la possibilità di organizzare, sviluppare e partecipare ad attività sportive e ricreative specifiche per le persone con disabilità e, a tal fine, incoraggiare la messa a disposizione, su base di uguaglianza con gli altri, di adeguati mezzi di istruzione, formazione e risorse;
 garantire che le persone con disabilità abbiano accesso a luoghi che ospitano attività sportive, ricreative e turistiche;
 garantire che i minori con disabilità possano partecipare, su base di uguaglianza con gli altri minori, alle attività ludiche, ricreative, agli svaghi ed allo sport, incluse le attività previste dal sistema scolastico;
 garantire che le persone con disabilità abbiano accesso ai servizi forniti da coloro che sono impegnati nell’organizzazione di attività ricreative, turistiche, di tempo libero e sportive.
L’applicazione dei cinque punti del comma 5 dell’articolo 30 della Convenzione comporta che le comunità – dal livello nazionale fino al singolo comune – si strutturino in modo tale che le attività sportive ordinarie, così come quelle ricreative, ludiche e culturali, possano essere svolte anche dalla persone con disabilità.
La prospettiva fondata sui diritti umani della Convenzione se, da un lato, toglie allo sport quell’aura medica, riabilitativa e curativa, dall’altro, conferisce allo stesso una dimensione ben più importante: quella dell’ordinario. Non un evento specifico, magari con finalità riabilitative, ma un evento che, al pari di attività culturali, ludiche e ricreative, possa essere perseguito dalle persone con disabilità in qualunque momento della loro vita.
Non più (o quanto meno non solo), quindi, un’attività che abbia per desinenza il termine “terapia” (sport-terapia, così come arte-terapia, ippo-terapia, musico-terapia, ecc.), ma un’attività «ordinaria», di quelle che qualunque cittadino che vive in una comunità mediamente organizzata può svolgere in piena autonomia. La Convenzione non rinnega il valore riabilitativo e abilitativo alla pratica sportiva, ma ne amplia la sua portata, estendendo il suo valore al di là della sola dimensione socio-sanitaria.
È bene precisare che l’elemento terapeutico è stato essenziale agli esordi dell’attività sportiva per le persone con disabilità, quando abbinare il concetto di «sport» a quello della «disabilità» sembrava essere un ossimoro. Al termine della Seconda Guerra mondiale, fu il neuro-chirurgo inglese Sir Ludwig Guttmann, nell’ospedale di Stoke Mandeville (ad Aylesbury, vicino Londra), ad intravedere nello sport un’importante attività che poteva avere delle ripercussioni positive anche nel percorso di abilitazione post-ospedaliera. Subito dopo l’apertura del centro di riabilitazione motoria, nel 1944, i primi a cimentarsi nelle varie discipline sportive furono i giovani appartenenti alle forze armate britanniche che avevano riportato lesioni midollari dovute alle cause belliche.
Guttmann mise a punto programmi di allenamento per le persone con disabilità (perlopiù paraplegici), rendendone partecipi, progressivamente, tutti coloro che accedevano al suo centro. Grazie allo sport, tutti coloro che arrivavano al centro cominciarono a potenziare la muscolatura delle braccia e delle spalle, pervenendo in poco tempo a risultati per l’epoca stupefacenti. Ma la cosa più importante che Guttmann dimostrò è che lo sport, aiutando ad acquisire equilibrio ed abilità motorie nell’uso della carrozzina, consentiva a questi giovani di servirsi più efficacemente della stessa nella vita di quotidiana ospedaliera e, in prospettiva, di quella extra-ospedaliera.
La spinta riabilitativa dello sport è stata senz’altro essenziale per la diffusione di pratiche sportive e per la diffusione e il perfezionamento delle attrezzature e degli ausili per praticarlo (dalla struttura delle carrozzine, al loro assetto). Questo fatto fu di estrema importanza perché permise allo sport per persone con disabilità di passare da un’attività impensabile per chi aveva una menomazione ad un’attività che poteva assumere, non solo il carattere riabilitativo, ma anche quello agonistico: il 28 luglio 1948, infatti, si tenne la prima edizione dei «Giochi di Stoke Mandeville» (dal nome dell’ospedale inglese) per atleti con disabilità, cui parteciparono gli ex membri delle Forze Armate britanniche.
Nel 1958, poi, avvenne la svolta: Antonio Maglio, Direttore del Centro Spinale dell’INAIL (Istituto Nazionale per gli Infortuni sul Lavoro) propose a Guttmann di far svolgere la nona edizione dei «Giochi di Stoke
Mandeville» a Roma, una settimana dopo la chiusura della XVII edizione delle Olimpiadi del 1960: nacque così la prima edizione dei «Giochi Paralimpici» estivi(5).
Ma lo sport non è solo quello agonistico delle Paralimpiadi. Lo sport è qualcosa che dovrebbe essere avvicinabile da chiunque in qualsiasi comunità, piccola o grande. Così, parlare di sport nell’ottica dei diritti umani significa parlare di «inclusione» delle persone con disabilità nella vita comunitaria a tutti i livelli. Il movimento mondiale delle persone con disabilità ha fatto proprio il concetto di inclusione quale elemento fondativo di una società giusta e rispettosa dei diritti umani. Il movimento, infatti, ritiene che l’inclusione sia un costrutto che ben rappresenta quel processo che le persone con disabilità – precedentemente escluse dalla comunità – compierebbero per ricostruire identità sociali, riconosciute attraverso il superamento di visioni stigmatizzanti. L’inclusione, quindi, permetterebbe la riformulazione dei princìpi della comunità di appartenenza, per garantire eguali condizioni per il pieno godimento dei diritti. Il movimento mondiale delle persone con disabilità ha fornito la seguente definizione di inclusione:
«[…] L’inclusione è un diritto basato sulla piena partecipazione delle persone con disabilità in tutti gli ambiti della vita, su base di eguaglianza in rapporto agli altri, senza discriminazioni, rispettando la dignità e valorizzando la diversità umana, attraverso interventi appropriati, superamento di ostacoli e pregiudizi, sostegni basati sul mainstreaming, in maniera da vivere nelle comunità locali […]».
Per tanto, è necessario che ogni comunità – come afferma la stessa Convenzione – si attrezzi per avere luoghi dove si fanno attività sportive (palestre, palazzetti dello sporti, stadi, ecc.) inclusivi, su base di uguaglianza con gli altri.

Bibliografia
Bal Filoramo Liliana (a cura di), Disabilità e sport. Contributi multidisciplinari. Celid, Torino 2007.
Drabeni Marco, «Parità di diritti, qualità della vita, tempo libero e sport, aspetti metodologici e pedagogici». In Marco Drabeni e Luca Eid (a cura di) L’attività fisica adattata per i disabili. Prospettive della realtà italiana ed europea. Libreria dello Sport, Milano, 2008.
Griffo Giampiero, «L’inclusione come strumento di tutela dei diritti umani». In Marco Mascia (a cura di) Dialogo interculturale, diritti umani e cittadinanza plurale. Marsilio, Venezia, 2007.
Sigona Alberto, «Sport e disabilità per vincere assieme. Quando le barriere del pregiudizio lasciano spazio
all’amore per la vita». In L’Opinionista del 14 luglio 2009 (http://www.lopinionista.it/notizia.php?id=278)

Siti internet
www.apaitaliana.it
www.londra2012.abilitychannel.tv
www.comitatoparalimpico.it

***Assistenti Sociali C.P.A. Umbro – www.cpaonline.it e Articolisti senior del Portale www.servizisocialionline.it

(5) I Giochi Paralimpici estivi – così definiti ufficialmente nel 1984 dal Comitato Olimpico Internazionale (CIO) – sono arrivati, quest’anno, alla loro XIV edizione: si terranno a Londra dal 29 agosto al 9 settembre 2012. I Giochi Paralimpici invernali, invece, nascono ad Örnsköldsvik (Svezia) nel 1976 e hanno visto la loro X edizione a Vancouver (Canada) nel 2010; nel nostro paese si è celebrata la IX edizione dei Giochi Paralimpici invernali a Torino nel 2006. In Italia una regolamentazione dei Giochi Paralimpici (fino al 2004, il termine adoperato era «Paraolimpiadi» o «Giochi Paraolimpici») è stata data con la Legge n. 189 del 15 luglio 2003, Norme per la promozione della pratica dello sport da parte delle persone disabili, nonché dai decreti attuativi, rispettivamente, del 5 maggio 2004 e del 17 dicembre 2004. Prima di questa norma, lo sport agonistico per le persone con disabilità non aveva un quadro legislativo appropriato.

Pierangelo Cenci*
Anna Vecchiarini*
Claudia Di Giorgio*

*Assistenti sociali del C.P.A. Umbro, Articolisti del Portale S.O.S. Servizi Sociali On Line

Il Direttore del Portale S.O.S.Servizi Sociali On Line
Dott. Antonio Bellicoso

www.servizisocialionline.it
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