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Davide Possanzini tra presente e passato: "riparto dalla Cremonese"

Davide Possanzini parla a Rivista Sportiva della nuova avventura alla Cremonese e del suo passato al Brescia ed alla Reggina, le due esperienze più importanti della sua carriera
del 21/02/12 -

A 36 anni Davide Possanzini riparte dalla Lega Pro con la maglia grigiorossa della Cremonese: una carriera di buon livello la sua, impreziosita da sporadiche gemme e qualche rimpianto. Attaccante dalle ottime doti al punto che alcuni ipotizzano che non sia riuscito ad esprimerle a pieno, soprattutto in Serie A, dopo un’esperienza poco felice in Svizzera al Lugano torna in patria lo scorso gennaio per vestire la maglia della Cremonese: alla sua età ha ancora voglia di mettersi in discussione. Con uno occhio fisso sul presente ed un altro a contemplare un passato cui inevitabilmente è rimasto legato.
Davide, iniziamo dal presente: sei da poco arrivato alla Cremonese. Come ti trovi e che ambiente hai trovato?
“Direi bene, l’impatto è stato ottimo: ho avuto anche fortuna perché a 36 anni poche squadre ti offrono un’ opportunità, la Cremonese lo ha fatto. È una piazza molto importante a livello calcistico visto il passato che ha avuto, e tra l’altro si prospetta un buon futuro: la struttura, il centro sportivo, la società, tutto mi ha impressionato da quando sono arrivato: credo realmente che qui ci possa essere un gran futuro.”
Venivi da un’ esperienza poco felice al Lugano: cosa era successo?
“Si, è stata un’esperienza poco felice quella di Lugano, ma non perché ho giocato male o cose del genere. Volevo provare qualcosa di nuovo dopo l’ addio dello scorso anno a Brescia e ho fatto quella scelta: che poi si è rivelata una scelta sbagliata. Ero partito con molti stimoli, pensando che essendoci meno pressioni in quel calcio avrei potuto essere avvantaggiato; ma mi sono reso conto invece che le pressioni paradossalmente erano troppo poche, non riuscivo a starci. Mi dispiace perché avevo preso un impegno con la società che purtroppo non ho mantenuto, però non ce la facevo ad andare avanti.”
E così sei tornato in Italia. Parlavi del Brescia: lì hai disputato 6 stagioni ed eri diventato capitano. Che ricordo hai di quel lungo periodo e come mai è arrivato l’addio?
“Posso tranquillamente dire che quelle sei stagioni al Brescia sono state l’esperienza più bella ed importante della mia vita; mi dispiace per come è finita, avevo avuto una promessa ed i progetti erano altri. Nella vita le cose cambiano, pazienza; è andata così. Io resto sempre tifoso del Brescia”
In effetti il divorzio è stato piuttosto movimentato e dibattuto: cos è successo esattamente?
“C’è stata una stagione, l’ultima, nella quale non ho giocato; ma non è dipeso da quello. Diciamo che ero il capitano e che sono stato un po’ tagliato fuori da tutto. Mi dispiace tanto, quando ho capito che non si poteva andare avanti ho fatto una conferenza per salutare e ho tirato fuori tutto le cose che non mi erano andate giù; cose che tra l’altro avevo già detto in precedenza ai dirigenti a quattr’occhi. Ribadisco, mi dispiace per come sono andate le cose perché ho un bellissimo ricordo del Brescia, e mi dispiace anche perché ci avevo fatto la bocca; avrei voluto chiudere la carriera al Brescia e si era già parlato di un posto in società per dopo. Le cose poi sono andate diversamente.”
E’ vero che sulla tua storia al Brescia è stato anche scritto un libro che racconta di questo amore interrotto?
“Il libro in questione è ‘Il gol tradito’ (Il gol tradito - Una storia di vita e di calcio – di Fabio Tavelli, ndr) di Fabio Tavelli che è un amico: va detto che il libro è nato molto prima, poi è chiaro che quel titolo rende bene l’idea del mio ultimo periodo al Brescia; parlando di ‘gol tradito’ si fa riferimento ad un mio gol molto importante che ci ha permesso di andare in serie A. Promozione che, l’anno dopo, non ho avuto modo di gustarmi fino in fondo perché il mio rapporto con il Brescia si è interrotto: comunque il libro nasce da una serie di incontri con Fabio, ho raccontato la mia vita ed è tutto a scopo benefico. Ho accettato di farlo anche in virtù di quello, sperando che la gente voglia perdere qualche minuto a leggere il mio libro facendo contemporaneamente del bene.”
Parlando strettamente di campo, nei tuoi sei anni a Brescia hai anche avuto modo di giocare con calciatori di alto livello: quanto ti ha arricchito questa lunga parentesi?
“E' stata una parentesi che mi ha arricchito a 360 gradi: ci sono stati giocatori che ho visto crescere e ora magari li guardo giocare in tv e mi ricordo che i primi allenamenti li facevano con me; è stata una esperienza bella sotto tutti i punti di vista che mi ha lasciato molto. “
Tornando più indietro nel tempo, c’è un’altra esperienza che ti ha dato molto: quella della Reggina. Che ricordi hai di quel periodo?
“Si, diciamo che Reggina e Brescia sono state le tappe fondamentali della mia vita: Reggio mi ha fatto sentire giocatore. Ho avuto la possibilità di andare a giocare in una squadra che inizialmente voleva salvarsi, poi in quell’anno è nato qualcosa di magico, abbiamo trovato un gruppo straordinario, siamo andati in serie A. E’ stato un anno strepitoso anche personalmente, mi riusciva tutto!”
Al punto che i tifosi della Reggina avevano iniziato a chiamarti ‘il Ronaldo dello stretto’
“Si beh, diciamo che avevo molti anni in meno e mi riusciva tutto: poi il fatto che tutta una città mi adorava, una curva intera la domenica allo stadio mi osannava, uno stadio intero cantava in coro il mio nome.. tutto questo mi ha dato un qualcosa in più. Mi faceva sentire super, quando mettevo quella maglia mi trasformavo. Abbiamo condiviso insieme quella storica promozione in serie A e la successiva salvezza. E tutt’ora a Reggio Calabria mi ricordano con affetto e questo mi riempie di gioia: loro mi hanno dato tantissimo e mi hanno fatto capire cosa può dare una tifoseria ad un giocatore.”
Al riguardo, da Reggio Calabria a Brescia, due ambienti così diversi: è vera la storia che al sud vivono il calcio in maniera più passionale e con più trasporto?
“Credo che l’affetto e l’amore per la squadra non cambino, sono uguali al sud e al nord: cambia il modo di manifestare le cose. A Reggio probabilmente ci sono anche meno interessi e svaghi per un giovane che cresce quindi il calcio finisce per catalizzare tutte le attenzioni; a Brescia tutti tifano per la squadra, tutti sanno cosa fa la domenica il Brescia però allo stadio magari lo seguono in pochi: forse perché ha il lago vicino, la montagna vicino, ecco magari ci sono altre cose che uno può fare.”
Hai giocato con diversi giocatori di grande livello: quale è stato tra i tuoi compagni, senza far torto agli altri, il top?
“Andrea Pirlo, è facile da dire: ha gli occhi anche dietro la testa, è incredibile. Dico lui però ho giocato con molti altri di ottimo livello, penso a Flachi e Di Natale ad esempio.”
Un difensore che ti faceva soffrire particolarmente?
“Se devo dirne uno dico Montero, ti picchiava dal primo all’ultimo minuto: poi Vierchowood. Ho giocato con lui a fine carriera ed era impressionante.”
Un allenatore al quale sei più legato o al quale porti più riconoscenza?
“Mi hanno aiutato in tanti: Gustinetti è stato uno che ho avuto in molti momenti cruciali della carriera, da Lecco a Reggio Calabria fino all’Albinoleffe. Però non posso scordare anche altri come Maran, Somma che sotto il profilo tattico è eccezionale, Zeman anche se con lui è stata una parentesi di pochi mesi; e anche Serse Cosmi. A lui devo molto.”
Cosa ha fatto di particolare Cosmi?
“Cosmi è riuscito a tirar fuori, forse più di tutti gli altri allenatori che ho avuto, il meglio di me collocandomi in campo nel modo giusto. Lui è bravissimo a dare la giusta collocazione in campo ai giocatori che ha sotto mano, e con me fece lo stesso.”



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