Bond Argentina in nuovo concambio. Di Alessandro Zanchetton

I postumi del crack argentino sono tutt’altro che finiti. Lo sanno bene i risparmiatori italiani, titolari ancor oggi di circa 8 miliardi di dollari in bond argentini colpiti dalla sospensione di pagamento del 2001. Una nuova possibilità sembra tuttavia alle porte.
del 07/12/09 -

Il Governo argentino avrebbe infatti annunciato a fine ottobre di voler procedere alla ristrutturazione completa delle obbligazioni ancora circolanti. Un primo swap, cioè scambio, è stato portato a termine nel 2005: in cambio dei vecchi titoli il Governo offrì tre tipologie di obbligazioni, con una scadenza tra i 28 e i 33 anni, tassi d’interesse indicizzati all’inflazione argentina e una perdita media di quasi la metà del capitale inizialmente investito. Questa operazione ha consentito allo Stato argentino di ristrutturare complessivamente circa il 75% del debito complessivo non pagato in seguito al crack.

Per la verità la TFA (Task Force Argentina) sconsigliò, soprattutto in Italia, la sottoscrizione delle nuove obbligazioni in quanto considerate penalizzanti per i risparmiatori. Secondo le analisi dell’associazione costituita da banche ed intermediari finanziari italiani per assistere e rappresentare gli investitori in titoli argentini l’offerta, oltre a non garantire la certezza di avere salvaguardato il capitale ed avere rimborsi del capitale troppo lunghi, escludeva gli interessi scaduti e non rispecchiava le effettive capacità di rimborso del paese. Fatto sta che la gran parte di quel 25% che non aderì all’Offerta Pubblica di Scambio è in mano a risparmiatori italiani (si tratta di 8 miliardi su un totale di 20, dei quali 4,5 rappresentati dalla TFA).

Molto probabilmente nemmeno questa volta i risparmiatori vedranno riconosciuto l’intero valore investito al tempo della sottoscrizione; anzi si prevede che il taglio del valore nominale sarà superiore al 65%: dovrebbe trattarsi di titoli a 25 anni, per un ammontare di 7 miliardi di dollari, cui eventualmente il Governo sarebbe pronto ad aggiungerebbe un altro bond per il pagamento di parte degli interessi arretrati che ammonterebbero a oltre 9 miliardi di dollari.

C’è da scommettere che il Governo peronista di Cristina Kirchner userà tutte le armi in proprio possesso per persuadere in primo luogo gli italiani ad aderire al piano di offerta. L’accordo con i creditori privati è uno degli ostacoli fondamentali che l’Argentina deve ancora rimuovere per potersi garantire un fortunato ritorno sui mercati internazionali dei capitali. Ritorno sul mercato del credito che sta diventando di estrema urgenza in questi mesi di recessione e calo delle entrate fiscali. Proprio per far fronte alle scadenze del debito per il 2009 e il 2010 sarebbe stato nazionalizzato nel 2008 il sistema pensionistico privato, che detiene attività per quasi 100 miliardi di dollari in obbligazioni e partecipazioni azionarie: lo Stato ingerisce così non solo nelle imprese argentine, ma in oltre 40 imprese in gran parte spagnole! Secondo gli analisti vi è un serio rischio di un nuovo default: secondo gli analisti della RBS Greenwich Capital Markets, Buenos Aires ha assoluto bisogno di riempire le sue casse con 21,3 miliardi di dollari entro la fine del 2009, e altrettanti ne serviranno l’anno prossimo. Non per niente le maggiori agenzie di rating hanno declassato i bond argentini che ora si trovano in classe B- sulla scala di S&P’s. B-, circa sei livelli al di sotto del cosiddetto investment grade al di sotto del quale le istituzioni finanziarie di primaria importanza non possono, spesso per loro stessa imposizione statutaria, investire: in pratica l’Argentina è scivolata sempre più lontano dal mercato del credito internazionale.

Non bastassero le nazionalizzazioni a far tremare il mercato e ad isolare l’Argentina dal credito, da fine 2007 il Governo ha trovato una strada alquanto pericolosa per alleggerire il carico degli interessi da corrispondere: bara sull’inflazione. In pratica sono stati attuati importanti cambiamenti al vertice dell’istituto nazionale di statistica (INDEC) ed è stata cambiata la modalità di calcolo dell’inflazione, modalità che non è mai stata resa nota. I dati ufficiali parlano per il 2008 di un’inflazione annua intorno al 7% anche se molti consulenti ed analisti privati ritengono che l’inflazione reale sia stata del 12-15% e potrebbe essere del 20-25% nel 2009. Differenza non da poco visto che i bond emessi nello swap del 2005 sono indicizzati all’inflazione (ufficiale, ovviamente).

Rimane un fatto: agli investitori che ancora detengono i vecchi tango bond sta per essere fornita una nuova opportunità di scambio. La TFA, che nel 2007 ha avviato un ricorso contro l’Argentina presso il tribunale della Banca Mondiale, si è già espressa negativamente nei confronti dell’ipotesi annunciata il 22 ottobre dal Ministro Boudou e quasi sicuramente sconsiglierà agli investitori di aderire, proseguendo la lunga class action intrapresa. Tuttavia l’offerta ha tutta l’aria di essere davvero l’ultima: se infatti l’operazione del Governo Kirchner avrà successo (il Ministro Boudou avrebbe affermato di considerare un successo l’adesione del 60% del debito ancora circolante, guarda caso grossomodo la quantità in mani non italiane) è difficile aspettarsi che vi saranno nuove opportunità di questo tipo in futuro, e i presupposti perché il suddetto successo si compia ci sono tutti. Accade infatti che dopo lo swap del 2005, molti fondi d’investimento si siano offerti di comprare i bond, spuntando dai risparmiatori esausti prezzi da hard discount: ai fondi importerà quindi poco se i tagli al valore nominale raggiungeranno il 70% perché qualsiasi offerta rappresenterà comunque un guadagno, visti appunto i bassissimi prezzi di acquisto e alle grandi quantità in possesso.

Ancora una volta i famigerati hedge fund responsabili degli attacchi speculativi del 2008 usciranno vincitori e i risparmiatori continueranno a inseguire la chimera del rimborso, guidati dalle stesse banche che avevano piazzato quei titoli nel 2000-2001.



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