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Atti persecutori

In tema di rapporti tra il delitto di maltrattamenti in famiglia e quello di atti persecutori, salvo il rispetto della clausola di sussidiarietà, prevista dall'art. 612-bis, comma 1, c.p., è applicabile il più grave reato di maltrattamenti quando la condotta valga ad integrare gli elementi tipici della relativa fattispecie
del 17/03/14 -

L'imputata, agente della polizia di stato, è stata tratta in giudizio per rispondere dei delitti di percosse, minacce, violazione di domicilio e atti persecutori nei confronti dell'ex marito (all'epoca dei fatti i coniugi non erano legalmente separati ma solo di fatto) e del reato contravvenzionale di molestie continuate a danno della di lui nuova compagna. Le contestazioni hanno formato oggetto di due distinti procedimenti penali e l'imputata è stata condannata in primo grado per tutti i reati ascritti, ad eccezione del delitto di stalking ex art. 612-bis c.p., oggetto d altro processo. Anche quest'ultimo si è concluso con la condanna dell'ex moglie, confermata dal giudice di seconde cure che si è limitato solo a rideterminare il quantum della pena complessivamente inflitta.
L'imputata ha proposto ricorso in Cassazione con particolare riferimento all'affermazione di responsabilità del delitto di atti persecutori, sostenendo l'erronea interpretazione e la falsa applicazione degli artt. 572 e 612-bis c.p. in quanto, laddove le condotte integranti il delitto di atti persecutori siano consumate all'interno del nucleo familiare e in danno di un familiare, avrebbe dovuto trovare applicazione il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi, come si evince dall'incipit del dettato normativo dell'art. 612-bis c.p. (salvo che il fatto costituisca più grave reato). Di conseguenza, vista la citata clausola di sussidiarietà - nella prospettazione dell'imputata - una volta inquadrata in astratto la condotta dell'ex moglie nello schema dell'art. 572 c.p., si sarebbe dovuto rilevare l'assenza del requisito dell'abitualità delle condotte vessatorie, con conseguente assoluzione.
Di diverso avviso la Cassazione che ha confermato l'orientamento giurisprudenziale precedente il quale, partendo dalla differenziazione dei delitti di maltrattamenti e di atti persecutori (in ordine al bene giuridico tutelato, ai soggetti attivi e alla descrizione delle condotte punibili), ha ritenuto che soltanto la forma aggravata del reato prevista dal comma 2 dell'art. 612-bis c.p. recupera ambiti referenziali latamente legati alla comunità della famiglia e che ne costituiscono postume proiezioni temporali, allorché il soggetto attivo sia il coniuge legalmente separato o divorziato o un soggetto che sia stato legato da relazione affettiva alla persona offesa.
Sotto questo profilo, «ferma l'eventualità ben possibile di un concorso apparente di norme che renda applicabili (concorrenti) entrambi i reati di maltrattamenti e di atti persecutori, il reato di cui all'art. 612-bis c.p. diviene idoneo a sanzionare comportamenti che, sorti in seno alla comunità familiare (o assimilata) ovvero determinati dalla sua esistenza e sviluppo, esulerebbero dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo o sodalizio familiare e affettivo o comunque della sua attualità e continuità temporale. Ciò vale, in particolare, in caso di divorzio o di relazione affettiva definitivamente cessata, giacché anche in caso di separazione legale (oltre che di fatto) la giurisprudenza di legittimità ha affermato la ravvisabilità del reato di maltrattamenti, al venir meno degli obblighi di convivenza e fedeltà non corrispondendo il venir meno anche dei doveri di reciproco rispetto e di assistenza morale e materiale tra i coniugi.
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AVV.GIUSEPPE CAPONE



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