Recensione Indie Game: Kairo

Kairo è la scoperta di un monolite arcaico simbolo di alfa e omega, punto di congiunzione sovrapposto fra l’inizio del cerchio e la sua chiusura. Un oggetto mistico, oscuro, impossibile da interpretare e particolare non trascurabile. La sua presenza è una bambola inquietante che, seppur non vestita da astronauta, potrebbe benissimo calzare a pennello con la rima eternauta, costringendoci in esplorazioni sub-reali all’interno di un mondo 3D dalle forti componenti puzzle. Enigmi, ancestrali macchinazioni e macchinari, congegni polverosi, monumenti ingegnosi e bisognosi pulviscoli scenografici
del 19/03/13 -

Kairo è la scoperta di un monolite arcaico, granitica raffigurazione di alfa e omega, punto di congiunzione ridondante fra l’inizio del cerchio e la sua chiusura. Un oggetto mistico, oscuro, impossibile da interpretare e particolare non trascurabile. La sua presenza è una bambola inquietante che, seppur non vestita da astronauta o da scimmia primordiale, potrebbe benissimo calzare i panni in rima eternauta, costringendoci in esplorazioni sub-reali all’interno di un mondo 3D dalle forti componenti puzzle. Enigmi, ancestrali macchinazioni e macchinari, congegni polverosi, monumenti ingegnosi e bisognosi pulviscoli scenografici.
Kairo, titolo sviluppato da Richard Perrin, mette alla prova la mia capacità di giudizio, il sangue freddo e l’integrità del redattore che, costretto alla recensione, deve escogitare una stesura coerente al proprio pensiero. Il mondo indie ha la curiosa capacità di riuscire a impegnare la mia materia grigia senza mezze misure, facendo spesso leva su sensazioni, interpretazioni di queste, o sul riflusso intestinale provocato da qualcosa di terribile. Nel caso in questione, devo dire che il creatore è riuscito ad andare oltre, confondendo ogni mia percezione e relegandomi in uno stato di disordine sensoriale.

Il mondo proposto da Perrin è fibra di vetro videoludica, enigmatica scatola, delicato intreccio d’ingranaggi, bordo di uno specchio che non possiamo aggirare, ma solamente toccare, con la certezza che oltre esso troveremo non una risposta, bensì un enigma ben più criptico. Le statuarie ambientazioni si mescolano alla perfezione con la rappresentazione Lynchiana dei puzzle, solo raramente lampanti, spesso emicranici, zen, buddisti e incapaci di staccarsi dal rapporto simbiotico stretto fra il level design, le musiche - cariche di echeggianti misteri - di Wounds - Bartosz Szturgiewicz – e l’atmosfera esplorativa che pervade ogni parte della mappa. Un mondo in costruzione e decostruzione, diviso e unito, complesso e pulito, nella sua architettura dalla geometria lineare, Kairo è un cilindro senza doppio fondo, ma comunque capace di nascondere un coniglio fluorescente.
Puzzle game difficile da giudicare, poiché estremamente indie, nato libero alla frontiera di ogni rappresentazione artistica, nonostante lo spiccato senso ludico classicistico espresso dal gameplay. L’esperienza è minata da difetti soggetti al parere di chi approccia l’avventura e impossibile da intrappolare all’interno di canoni valutativi classici. Il titolo è esaminabile alla stregua di un quadro, di una pellicola o di un talento jazzistico capace di andare oltre le ordinate note di un talentuoso compositore, ma sparpagliate elegantemente sopra uno spartito improvvisato, guidato solamente dall’ inclinazione naturale, espressa in improvvisate jam-sessions.

Secondo il buonsenso dettato dal metro tradizionale, il titolo sarebbe completamente fuori da ogni binario valutativo capace di condurlo alla sufficienza. La trama sarebbe più contestata del finale di Mass Effect 3, più attorcigliata della narrativa videoludica di Metro 2033 e, per alcuni, semplicemente superficiale e abbozzata. Contestualmente inesistenze, dal gameplay risicato e dal concept eccessivamente spoglio.
Fortunatamente si parla di indie game e, in questo caso, il metro di giudizio diventa più elastico. Il ritorno al crudo giocare, per alcuni, sarebbe manna dal cielo; la cripticità schematica della trama, una sfida di fantasia, quasi un contratto d’impegno immaginifico 60 e 40 con il giocatore, ma le contrattazioni sono libere; un concept fuori dal coro, potrebbe solo suggerire i lontani echi di un vecchio spot, ma io preferisco pensare a qualcosa di più artistico e ricercato, anche se non volutamente legato agli autori citati in recensione; e un gameplay poco elaborato, per me, la capacità di realizzare tanto, con elementi di base.
La dimensione onirica dentro la quale viene trasportato il giocatore è asfissiante, vertiginosa, rarefatta, inconsistente nella sua capacità di disorientare qualsiasi approccio logico. Kairo rappresenta una sfida importante per chiunque ami i puzzle game, una maledizione per il giocatore occasionale tripla A e un interessante esercizio stilistico, per chiunque ami considerare il lato artistico del videogame.



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