2020, la privacy al tempo del Coronavirus

Si parla in questo periodo di applicare il modello coreano consistente nell’utilizzare i cellulari dei cittadini per la mappatura e il tracciamento dei soggetti entrati in contatto con persone infette (c.d. contact tracing).
del 08/06/20 -

Mai come in questo drammatico periodo, caratterizzato da una pandemia che semina non solo morti ma anche ansie e depressioni, la privacy è percepita da molti come un inutile fardello, per giunta di ostacolo per operare le restrizioni necessarie a bloccare il contagio da Covid-19. Abbiamo letto dichiarazioni da parte di esponenti pubblici inneggianti all’abolizione della “privacy”, che in questo momento difficile - a loro dire - sarebbe di esclusivo intralcio a modelli efficienti di controllo di massa come quello cinese o coreano. Proclami inaccettabili da parte di chi non solo deve rispettare le leggi ma anche conoscerle a fondo, dal momento che proprio la disciplina sulla protezione dei dati si fonda su un principio di bilanciamento degli interessi individuali rispetto a quelli pubblici.

Lo stesso Presidente dell’Autorità Garante in un’intervista ha dichiarato: “ho letto interviste sprezzanti in merito al diritto alla privacy. Abbiamo detto mille volte che quel diritto, anche nella sua declinazione digitale di protezione dei dati, soggiace a delle limitazioni a fronte di un interesse collettivo, a maggior ragione in questa fase drammatica. L’equilibrio tra diritti individuali e della collettività è sancito dalla Costituzione”. “Però - aggiunge - le deroghe non devono diventare un punto di non ritorno”.

Il modello coreano

Si parla in questo periodo di applicare il modello coreano consistente nell’utilizzare i cellulari dei cittadini per la mappatura e il tracciamento dei soggetti entrati in contatto con persone infette (c.d. contact tracing). E anche qui alcuni hanno chiesto di sospendere la “privacy”, dimenticando che proprio la disciplina sulla protezione dei dati consente di adottare tali strumenti di contenimento del contagio, ma sempre nel rispetto dei diritti dei cittadini. Afferma il presidente Soro in un’altra intervista: “la disciplina di protezione dei dati coniuga esigenze di sanità pubblica e libertà individuale, con garanzie di correttezza e proporzionalità del trattamento. Ma una misura quale il contact tracing, che incide su un numero elevatissimo di persone, ha bisogno di una previsione normativa conforme a questi principi. Un decreto-legge potrebbe coniugare tempestività della misura e partecipazione parlamentare. Va da sé che la durata deve essere strettamente collegata al perdurare dell’emergenza”.

Punto 1: tempi limitati

Questo non significa non prendere in considerazione esperienze fatte da altri ordinamenti (lontani dal nostro e non solo per questioni geografiche), ma farlo utilizzando strumenti di tracciamento con tutte le cautele del caso; prima fra tutte la garanzia che l’utilizzo resti limitato al tempo dell’emergenza, per poi consentire nuovamente l’estensione dei diritti individuali. Proprio il nostro ordinamento e la disciplina europea sulla protezione dei dati rappresentano un solido argine a un utilizzo sproporzionato di tecnologie sempre più invasive, come avviene per i chip sottocutanei che, dotati di GPS, potrebbero tenere traccia con grande precisione dello spostamento delle persone.

Chip sottocutanei

Già nel 2004 nel discorso conclusivo della Conferenza internazionale sulla protezione dei dati in Polonia Stefano Rodotà osservava: “davanti a noi sono mutamenti che toccano l´antropologia stessa delle persone. Siamo di fronte a slittamenti progressivi: dalla persona ‘scrutata’ attraverso la videosorveglianza e le tecniche biometriche, si può passare ad una persona ‘modificata’ da diversi strumenti elettronici, dall’inserimento di chip ed etichette ‘intelligenti’, in un contesto che sempre più nettamente ci trasforma in ‘networked persons’, persone perennemente in rete, via via configurate in modo da emettere e ricevere impulsi che consentono di rintracciare e ricostruire movimenti, abitudini, contatti, modificando così senso e contenuti dell’autonomia delle persone, e quindi incidendo sulla loro dignità. (Polonia-Settembre 2004)

Quindi?

Concludendo, a fronte di infinite applicazioni tecnologiche e di infiniti utilizzi, la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali potrà proteggerci dalla “follia umana” perché, come diceva Albert Einstein, “solo due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, e riguardo all’universo ho ancora dei dubbi”.

La versione integrale dell’articolo riporta tabelle, box o figure, per visualizzarle vai al link: https://www.secsolution.com/pict/allegati/SM08-ART046.pdf

Contributo per secsolution magazine di: Marco Soffientini - Avvocato, esperto di Privacy e Diritto delle Nuove Tecnologie; docente Ethos Academy



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