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Un flop tira l’altro, il basket italiano è diventato per pochi intimi?

Gli spalti vuoti di Sassari nelle semifinali della Supercoppa è l'ennesimo flop per il basket italiano, che tra idee confuse e mancate risposte rischia di non decollare più
del 06/10/14 -

Buona la prima per Milano e Sassari, un po’ meno per il basket italiano, per il quale ormai è ora di dare una risposta a un interrogativo che grava da troppo tempo sull’intero movimento: questo sport in Italia è diventato ormai per pochi intimi? Guardando gli spalti del PalaSerradimigni di Sassari, cornice nella quale si sono giocate le prime gare ufficiali della stagione, la risposta è senza dubbio affermativa.

I seggiolini desolatamente vuoti sono la degna rappresentazione di ciò che è accaduto in occasione delle semifinali della Supercoppa italiana, disputate in un palasport, il PalaSerradimigni di Sassari, nel quale molti dei posti a sedere sono rimasti pressoché deserti. Pochissimo pubblico in occasione di Milano-Brindisi, un po’ di più (ma senza esagerare) per la sfida tra Sassari e Roma, che pure vedeva in campo i giocatori di Meo Sacchetti, i beniamini di casa, la squadra che ha fatto registrare il tutto esaurito in abbonamento per il campionato. Il tutto senza che venisse fornito a nessuno il dato del pubblico presente, un’anomalia che stride ancora di più con la cornice in cui si è giocato.

Perché tanta desolazione in uno degli eventi principali della stagione? Una sola risposta non basta a sviscerare un problema con cui il basket italiano fa i conti da molto tempo. Perché è inutile dare le colpe a una o a un’altra tifoseria (in questo caso quella sassarese), addossandole magari una mancata risposta in termini di pubblico. Il fatto è che la Supercoppa italiana è solo l’ultima manifestazione in ordine temporale a fare flop dal punto di vista del pubblico. E, in senso più ampio, anche da quello dell’esposizione mediatica.

Le ultime due edizioni della Final Eight di Coppa Italia, ad esempio, sono state un assoluto fallimento dal punto di vista della partecipazione e non c’è consolazione alcuna nell’invocare la sfortuna di non avere avuto la squadra di casa tra le protagoniste, visto che al Forum di Assago in entrambe le circostanze il cammino dell’Olimpia si era fermato ai quarti di finale.

Quest’anno la Legabasket ha azzardato il varo della nuova formula per la Supercoppa italiana: non più la vincitrice dello scudetto contro la detentrice della Coppa Italia, ma un mini-torneo a quattro squadre, con invito allargato alla finalista dei playoff e della Final Eight. Peccato che quella squadra – la stessa in entrambe le circostanze – non esista più, visto com’è terminata la vicenda legata al fallimento della Mens Sana Siena.

E allora, via con cervellotiche formule per individuare chi avrebbe potuto partecipare, con la scelta caduta sulla semifinalista agli scorsi playoff (Roma) e una delle semifinaliste della Coppa Italia (Brindisi), preferita all’altra (Reggio Emilia) in virtù di una migliore classifica al termine dello scorso girone d’andata.

In tutto questo discorso, forse non si è tenuto in considerazione che la scelta di dove far disputare queste sfide sarebbe stata cruciale tanto quanto l’indicazione di chi farvi partecipare. Quella scelta è caduta su Sassari, che è una delle realtà più belle ed emergenti del basket italiano, ma che forse logisticamente non è la location più comoda per spingere gli appassionati a muoversi per seguire dal vivo l’evento in questione.

Già, la categoria degli appassionati. Forse la componente che manca di più al basket italiano, la cui assenza è un punto cruciale che prima o poi dovrebbe venire affrontato. Una categoria che comprende tutti coloro che amano la pallacanestro a prescindere dalla propria squadra del cuore, persone disposte a seguire grandi e piccoli eventi del nostro basket per una passione smisurata nei confronti di uno sport che in Italia ha sempre avuto grande seguito.

Ebbene, questa categoria è diventata sempre più esigua, quasi invisibile ormai, tanto che ormai sugli spalti dei palasport italiani si può parlare solo di tifosi, e non più appunto di appassionati. E i tifosi, si sa, seguono la propria squadra e basta, disinteressandosi di tutto quello che è il contorno alla partita dei propri beniamini.

Un paio di esempi per tutti: quanti bolognesi sono accorsi a vedere la Final Four di Eurochallenge, organizzata dalla Pallacanestro Reggiana al PalaDozza, nel cuore del capoluogo emiliano? Quanti tifosi dell’Olimpia Milano hanno venduto il biglietto acquistato in occasione della Final Four di Eurolega, che si è disputata al Forum di Assago e alla quale i biancorossi hanno mancato l’accesso dopo la serie di playoff contro il Maccabi Tel Aviv?

Ora, in questa situazione è logico che quando una tifoseria non risponde come ci si aspetta (o non risponde per niente, come accade in alcuni casi) lo scenario che ci aspetta è quello di vedere un palasport desolatamente vuoto. Nel caso specifico della Supercoppa, poi, va aggiunto che anche per i tifosi organizzati è stato difficile raggiungere la location di gioco, visto che da Milano, Roma e Brindisi il viaggio per arrivare a Sassari non è dei più agevoli.

Se a tutto questo si aggiungono i tanti impegni che attendono i tifosi della Dinamo, che già hanno sborsato i propri soldi per l’acquisto di un abbonamento in campionato e che si accingono a riempire il palasport in occasione delle gare di Eurolega, la frittata è fatta: due semifinali praticamente prive di pubblico, giocate in un contorno molto desolante, peraltro sotto lo sguardo dei rappresentanti delle principali istituzioni, dal presidente federale Petrucci al presidente di Lega Marino. Che cosa avranno pensato dell’ambiente che li circondava?

Certo, le cose non sono andate certamente meglio per chi ha preferito guardare la gara in tv. Quello della qualità (o sarebbe meglio dire della mancanza di qualità) legato alla trasmissione delle partite di basket nel piccolo schermo è un problema che va di pari passo con quello delle mancate presenze nei palazzetti. Se cerchiamo le cause per cui gli appassionati hanno perso la passione, certamente l’assenza totale di esposizione mediatica e la scarsa cura della trasmissione del prodotto sono tra le prime.

Scorrere la lista dei problemi che attanagliano il basket italiano di vertice è diventato quasi stucchevole, oltre che inutile: le questioni da risolvere sono sempre le stesse e si ripropongono sempre allo stesso modo e negli stessi tempi. Chi segue il basket sa quali siano, possibile che chi lo gestisce non se ne accorga? Oppure se ne accorge ma non riesce proprio a individuare una soluzione che possa invertire la tendenza? Perché allora non lasciare spazio a chi magari ha delle idee diverse e che si è dimostrato in grado di poterle realizzare?

Un caso per tutti, la Lega Nazionale Pallacanestro: nata da poco più di un anno, si è già messa in mostra per una serie di iniziative quasi tutte andate a buon fine. E poco importa se qualche tassello non è andato per il verso giusto e qualche pecca continua a mostrarsi inesorabilmente. Quello che conta (e che conterebbe anche per la serie A, oggi più che mai) è l’inversione di tendenza, la novità, la dimostrazione di provarci per davvero. L’unica cosa che abbiamo visto e sentito, invece, è solo la voce che dall’alto ripete in continuazione che questa che sta per iniziare è la stagione del riscatto per il movimento cestistico italiano. Se il buongiorno si vede dal mattino…



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