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Rischio licenziamento ad usare Social network sul posto di lavoro

Una recente sentenza della Cassazione ha fatto un po’ di chiarezza su una questione di cui da tempo si dibatte: la relazione tra lavoro e social network. O, meglio, il ruolo che l’utilizzo dei social network sul lavoro può giocare in sede di licenziamento. Tale sentenza ha affermato la legittimità del licenziamento di una dipendente che, durante l’orario lavorativo, in soli 18 mesi ha visitato ben 6.000 siti web estranei alla sua attività. Di questi 6.000, ben 4.500 avevano come oggetto Facebook.
del 15/03/19 -

Non certo una condotta impeccabile, dunque. Eppure, la donna in questione – pur riconoscendo gli accessi a tali siti – ha impugnato il licenziamento ritenendolo “discriminatorio e ritorsivo”: secondo la sua versione, l’interruzione del rapporto di lavoro sarebbe arrivata solo dopo la richiesta di usufruire dei benefici della legge 104/92, che disciplina l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate.

Social network sul posto di lavoro: cosa dice la legge
L’utilizzo dei social network del lavoro è un “problema” decisamente frequente: tenendo conto che il 76% degli utenti (il 22% della popolazione mondiale) si collega a Facebook almeno una volta al giorno, è evidente che – il fatto che questo succeda dal luogo di lavoro – non è certo un’eventualità rara.

Già nel 2017, la Corte di Cassazione si era pronunciata sul caso di un dipendente che, licenziato a causa dell’utilizzo dei social network sul posto di lavoro, aveva impugnato la sentenza. Il motivo? Il suo datore di lavoro gli aveva teso una trappola, creando un account falso su Facebook, e lo aveva licenziato proprio a seguito dei numerosi messaggi scambiati in orario lavorativo. In un primo momento rigettata dal Tribunale, la legittimità del licenziamento è stato poi confermata dalla Corte di Appello e dalla Corte di Cassazione in quanto la creazione dell’account falso era volta a porre fine ad una condotta che stava mettendo a rischio il regolare funzionamento e la sicurezza dell’impianto al quale il lavoratore era addetto.

Ecco dunque che, sebbene una legge non esista, si può dedurre che i controlli aziendali occulti sono ammissibili quando diretti ad accertare comportamenti illeciti.

Social network sul posto di lavoro: la sentenza della Cassazione
Nel caso della dipendente con 4.500 accessi a Facebook all’attivo, la sua condotta è stata giudicata grave e idonea ad incrinare la fiducia con il datore di lavoro, anche perché – considerate le 3 ore giornaliere previste dal suo contratto – è risultato che ogni giorno, al social network, accedeva più e più volte. E non c’era dubbio che ad entrarvi fosse lei, dal momento che per farlo utilizzava la sua password.

Il datore di lavoro, dunque, non ha commesso nulla di illegittimo: la dipendente utilizzava un computer di proprietà del datore di lavoro, che si è limitato ad estrapolare e a stampare la cronologia della navigazione. Non siamo dunque in presenza di una violazione della privacy: la condotta del titolare ha infatti riguardato solamente i dati che vengono registrati da qualsiasi computer, poi stampati al solo fine di verificare l’utilizzo di uno strumento messo a disposizione dal datore di lavoro per l’esecuzione della prestazione. Motivo per cui, prima di utilizzare i social network sul posto di lavoro, è fondamentale conoscere il rischio che si sta correndo.



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