Napoli.Intervista sociosanitaria sul Covid 19 al dott. Antonello Pisanti, Pediatra, Tisiologo, esperto in malattie dell’apparato respiratorio, infettivologo e Immunologo

D: I sintomi iniziali sembrano comuni a quelli di una normale influenza e pare che i bambini ne siano pressoché immuni, forse perché, come suggerisce qualcuno, negli organismi giovani c’è una pronta reattività a stimolare gli anticorpi giusti e, di conseguenza, che le vaccinazioni potrebbero dimostrarsi maggiormente efficaci con i giovani, anche contro un virus che, seppur nuovo, è comunque simile ad altri. Qual è il suo pensiero in merito, e quale eredità pensa possa lasciare questo coronavirus in termini di conoscenza e di esperienza pediatrica?
del 10/04/20 -

D: Dottore, da quanti anni esercita la professione medica, e presso quali Istituzioni sanitarie l’ha praticata?
R: La mia laurea in Medicina risale al lontano 1976. Tre specializzazioni presso la Federico II: 1) Clinica pediatrica 2) Tisiologia e Malattie dell’Apparato Respiratorio 3) Puericultura più un Perfezionamento presso Università di Perugia in Immunologia e Allergologia pediatrica.
Tirocinio ospedaliero semestrale presso 29 Div. Pediatria Osp. A. Cardarelli
Assistente e poi Aiuto Div. Di Pediatria Ospedale di Aversa (CE)
Aiuto Corresponsabile e poi Responsabile della Sezione di Broncopneumologia Pediatrica presso SS Annunziata Osp. ad Alta Specializzazione.
Dirigente presso Osp. Pausilipon UOC di Pediatria ad indirizzo Infettivologico.
Dirigente presso Osp. Santobono.
Nell’ultimo decennio della carriera ospedaliera, riferimento per la Tubercolosi Pediatrica in tutto il Centro-Sud Italia.
Ho insegnato per circa 10 anni di “Infettivologia pediatrica “ presso il polo pediatrico dell’ A.O. Santobono-Pausilipon della Federico II.

D: Nel corso della sua carriera professionale ha mai esperito un’emergenza sanitaria come quella prodotta dal covid19, o almeno confrontabile ad essa?
Se sì, in quale caso? Ricordiamo che un lock-down mondiale così ferreo non si era verificato nemmeno durante la guerra mondiale.
R: Assolutamente no, nessun confronto, nel senso di un’epidemia e pandemia di tali proporzioni. Ricordo comunque con grande lucidità, l’esperienza (da studente di Medicina, nel 1973, dell’epidemia di Colera a Napoli. Quella dell’epidemia da VRS (Virus Sinciziale Respiratorio) nei lattanti del 1978. Quella dell’epidemia di Morbillo a Napoli e in Campania nel 2001 ( il cui allarme inizialmente fu lanciato proprio dal sottoscritto, e di alcuni casi di Meningite Meningococcica nello stesso anno. Infine un’epidemia influenzale di notevoli proporzioni nel 2008 in cui fu paventata ma infine scongiurata, un’epidemia dello stesso virus (Aviaria) che provocava la SARS. Comunque nessuna di queste esperienze è da paragonare a questa, né mai furono presi dalle Istituzioni provvedimenti cosi draconiani.

D: E' percezione diffusa che ormai sappiamo quasi tutto sui virus e su come contrastarne la proliferazione, ivi incluse le consuete norme igieniche di base da rispettare, come lavare spesso le mani col sapone o evitare di stare con le scarpe in casa, non stare in contatto con chi ha un’influenza etc, ma nel caso del covid-19, lei ritiene possano valere le stesse, basilari precauzioni? O questo virus ha caratteristiche a tal punto sconosciute da risultare di così difficile contenimento? La rapidità del contagio e la facilità di diffusione insomma, sono comuni a tutti i virus finora studiati?
R: Le norme igieniche sicuramente devono essere le stesse, anche se bisogna ammetterlo, non sembra siano risultate sufficienti in questa epidemia, data la particolare contagiosità e velocità di diffusione del Covid19. Efficaci invece, vista la diffusione aerea specialmente in ambienti chiusi (e/o forse più inquinati), sembrano essere state le disposizioni circa la sospensione di alcune attività lavorative e scolastiche e comunque di tutte quelle attività che presupponevano assembramenti, specialmente in ambienti chiusi.

D: Cambierà qualcosa dopo questa esperienza rispetto alle norme igienico sanitarie a livello individuale e sociale? Continueremo a uscire con i guanti in lattice e a mantenere la social distance?
R: sicuramente questa esperienza influirà su i futuri comportamenti igienico-sanitari della popolazione ma, non solo, penso che potrebbero cambiare anche molte abitudini sociali; mi auguro però che non si continuerà certo anche in futuro a uscire sempre con guanti e mascherine, una volta esaurita l’epidemia, ma che il loro uso possa essere riservato in futuro solo a categorie particolari.

D: I sintomi iniziali sembrano comuni a quelli di una normale influenza e pare che i bambini ne siano pressoché immuni, forse perché, come suggerisce qualcuno, negli organismi giovani c’è una pronta reattività a stimolare gli anticorpi giusti e, di conseguenza, che le vaccinazioni potrebbero dimostrarsi maggiormente efficaci con i giovani, anche contro un virus che, seppur nuovo, è comunque simile ad altri. Qual è il suo pensiero in merito, e quale eredità pensa possa lasciare questo coronavirus in termini di conoscenza e di esperienza pediatrica?
R: La prima idea che mi venne in mente, inizialmente, per spiegare questa peculiarità dell’età pediatrica fu più di tipo , per cosi dire “filosofico” , che scientifico: “ I bambini sono sempre più attrezzati rispetto a qualsiasi tipo di novità”. In realtà ho appreso poi da alcuni studi e ampie “review” su riviste internazionali d’immunologia, che avevo proprio ragione . Il sistema immunitario dei bambini infatti è effettivamente più efficiente ed adattabile nei confronti di agenti infettivi “nuovi” rispetto alla popolazione generale ed in particolare a quella dei soggetti più anziani, il cui sistema immunitario è meno elastico, più rigido e maggiormente basato su esperienze già fatte precedentemente e non su quelle nuove. Questo accade anche, in parte per tutti i virus influenzali in genere, che hanno la tendenza a mutare e a “rinnovarsi” , tant’è che durante tutte le epidemie influenzali, il maggior prezzo, lo pagano proprio gli anziani (over sessantacinque).

D: Con quali ricadute, come esiti prescrittivi e di prevenzione nel rapporto tra genitori e figli?
R: Io penso che le ricadute nei bambini , nel rapporto con i genitori , siano complessivamente positive perché una maggiore vicinanza e un maggior tempo dedicato a loro non può che migliorare la relazione; in più ritengo che questa esperienza che per fortuna non ha come bersaglio privilegiato la salute fisica dell’infanzia rappresenta un valore aggiunto se filtrata e spiegata sapientemente dagli stessi genitori e rappresenti un fattore fortificane la psiche infantile.

D: Ritiene che, in quest’ultimo caso, ci possano essere eventualmente delle differenze tra genitori di figli con disturbi comportamentali, ed in particolare di quelli afferenti allo spettro autistico, altra emergenza internazionale esplosa nell’ultimo decennio e di cui non sono ancora per nulla chiari i motivi?
R: Lo spettro autistico è un contenitore molto grande che va da forme molto lievi di disturbi comportamentali a forme più gravi e di vera disabilità. Per quanto riguarda le prime credo che possa solamente giovare un rapporto di maggiore vicinanza di entrambi i genitori ai propri figli sia in termini quantitativi (nel senso della quantità di tempo dedicato) che qualitativi. Infatti da più parti nell’ambito delle competenze psico-pedagociche si suppone che il lavoro di entrambi i genitori, il tipo di vita frenetico della nostra Società, le lacerazioni dei rapporti all’interno del nucleo familiare, rappresentino un fattore determinante nella genesi di molti di questi disturbi, che, intendiamoci, sono sempre probabilmente esistiti ma che un tempo si riuscivano a risolvere con un approccio dettato dal buon senso, dal miglioramento del rapporto affettivo e da una collaborazione tra scuola e famiglia. Oggi invece sembra che vi sia un’eccessiva tendenza alla medicalizzazione di queste, per cosi dire, “variabili psichiche”, ed un eccessivo ricorso alla delega , vedi psichiatra infantile, con un atteggiamento di deresponsabilizzazione ed abdicazione del ruolo genitoriale.

D: In materia di misure mirate alle persone con disabilità nel loro insieme (fisico, psichico e sensoriale, anche combinato) le misure adottate sono adeguate oppure sono necessarie prassi mirate? Potrebbe dare qualche dritta in tal senso?
R: E’ chiaro che maggiore sostegno e maggiori attenzioni soprattutto in termini economici e di personale ausiliario, penso ad esempio all’utilizzo dei lavoratori extracomunitari (che già tanto fanno a livello privato per molti anziani, supplementando e compensando le carenze dell’assistenza socio-sanitaria) andrebbero rivolte a questa tipologia di soggetti con disabilità. Per questo sarebbe utile una politica più aperta, esattamente contraria a quella ostruttiva praticata del tutto recentemente, nei confronti degli immigrati, alcuni dei quali sono anche molto scolarizzati ed anche preparati ad alcune funzioni di tipo assistenziale. Lo stesso dicasi per l’impiego dei recettori di reddito di cittadinanza cui verrebbero anche fatte le dovute integrazioni economiche offrendo loro un lavoro utile e dignitoso di grande valenza sociale.

D: Questo virus, della famiglia dei coronavirus, ha origine animale: il salto di specie e la sua successiva diffusione tra umani sono eventi rari, ma è già accaduto: (…) Nel caso del Covid-19 si stanno analizzando in maniera molto più sistematica età, patologie, decessi in strutture sanitarie, determinante presenza ai fini del decesso del virus o meno. Che cosa è cambiato secondo lei rispetto agli altri virus influenzali?
R Come lei sa, l’influenza provoca in media ogni anno circa 14.000 (13.600 per la precisione) decessi all’anno su circa otto milioni di soggetti colpiti quindi una letalità compresa tra lo 0.1-0.2%. Consideriamo che questa letalità è da spalmare su tutte le età ma dobbiamo anche considerare che la letalità è molto attenuata dall’esistenza di un vaccino , la cui pratica oramai da vari anni è considerata di routine nella popolazione più anziana. Alla luce di queste considerazioni si potrebbe pensare che la vera discriminante sarebbe proprio quella della mancanza di un vaccino per il Covid19 e a fare la vera differenza tra le due entità patologiche.

D: L’elevato numero dei contagi e dei decessi della regione Lombardia, sta assumendo, in prospettiva, una rilevanza unica, specie se rapportate alle pur difficili situazioni delle altre nazioni. A suo parere è il virus che si adatta alla tipologia del territorio (maggiore presenza di agenti inquinanti, condizioni di temperatura ideali) e di popolazione che incontra (percentuale più alta di anziani con patologie) o ci suggerisce altri punti di vista?
R: Su questo fronte ancora non si può dire l’ultima parola visto che nel Sud molti ancora, prospettano gli stessi disastri , se non ancora maggiori, per le presunte peggiori condizioni del Sistema Sanitario nel Mezzogiorno. Io tuttavia ritengo che per effetto di diverse condizioni ambientali e diverse abitudini sociali e per la maggior quota di popolazione di anziani (tra l’altro quasi tutti ricoverati forse a differenza che nel sud Italia in case di riposo, quindi in comunità molto chiuse e “dense”), il maggior prezzo alla fine dei conti sarà a scapito dei territori del Nord Italia.
Ammesso che effettivamente il virus sia stato più aggressivo nel nord-Italia ed in particolare in Lombardia, le ragioni potrebbero essere attribuibili anche a :
Inquinamento atmosferico; 2)Concentrazione industriale; 3)Maggiori traffici commerciali; 4)Maggiore tasso medio di umidità ambientale; 5) Temperatura mediamente più bassa; 6) Massima movimentazione trasporti e collegamenti; 7)Maggiore concentrazione d’individui in luoghi spesso chiusi ed affollati; 8) Maggiore concentrazione di grandi magazzini e supermercati; 9) Minori esercizi commerciali al dettaglio, piccoli e poco affollati; 10) Altri tipi di malattie infettive (eccetto quelle gastroenteriche), contrariamente ai luoghi comuni, sono sicuramente più incidenti nel nord, vedi meningiti nel Trevigiano e quella recente di Meningiti nel Bergamasco.

D: Si è potuto constatare dalla Cina e poi in sequenza qui da noi e in tutte le nazioni man mano raggiunte dai primi casi, quali siano state le misure adottate: con negozi serrati, strade semivuote e attività produttive, culturali e ricreative per lo più sospese; secondo lei sono la strada obbligata per evitare la diffusione? Evitare di porre sotto stress insostenibile le strutture e le organizzazioni sanitarie nazionali è il modo più efficace per fronteggiare il virus e limitare i decessi?
R: Credo che questa strada cui Lei fa riferimento, vista la diffusione velocissima del contagio, sia stata comunque inevitabile e la sola al momento percorribile in assenza di un vaccino e di validi presidi terapeutici efficaci e validati. In realtà poi credo che da un punto di vista socio sanitario il nuovo Coronavirus sia stato capace di attuare in brevissimo lasso di tempo alcune aspirazioni di “decrescita felice” e di sanificazione dell’ambiente in cui da alcuni anni una parte delle nuove generazioni di giovani credono. Lo stesso virus ha poi favorito in un certo senso le giovani generazioni nel conflitto che le oppone di fatto in tante declinazioni a quelle che le hanno preceduto.

D: Ritiene potrebbero esserci alternative possibili e più efficaci di questa?
R : Ritengo che il ns. Paese, a prescindere dalle giuste misure adottate, ancora una volta abbia pagato un prezzo alto, che forse sarà ancora maggiore alla fine dei conti, per l’eccesso di burocratizzazione del nostro sistema politico-sociale. Mi spiego meglio: la lentezza delle procedure di costruzione di nuovi ospedali di emergenza, la lentezza nella validazione da parte dell’AIFA di farmaci, che sembrano aver avuto efficacia in altri Paesi e la difficoltà nell’approvvigionamento degli stessi, vedi uso dell’Idrossiclorochina ( Plaquenil, farmaco antimalarico), in Francia o di alcuni farmaci antivirali come il Favipiravir (Avigan) in Giappone. In emergenza, a mio parere, bisogna essere più pragmatici e tempestivi ed essere anche più pronti e più audaci nell’approvvigionamento ed impiego di farmaci che potenzialmente possono salvare molte vite umane.

D: Al fine di confutare destabilizzanti congetture complottistiche, cosa dovrebbe fare la comunità scientifica nazionale, U.E. (d’area) e globale per dimostrare che il Covid 19 non è un organismo originariamente naturale, poi virus modificato e potenziato a livello bio-ingegneristico per ragioni di competizione geopolitica?
R : La prova che il nuovo Coronavirus non sia il risultato di un esperimento (doloso) di laboratorio è data dal fatto che a pagare in una pandemia non sia solo Il Paese autore del presunto attacco biologico ma tutti i Paesi del mondo e del globo. IL fatto che ad esempio dopo Hiroschima e Nagasaki non sia mai più usata l’arma atomica nasce proprio dalla consapevolezza che la messa in gioco di una tale arma finisca, se messa in campo, per distruggere tutto il Genere Umano. Poi bisogna ricordare che l’applicazione e l’utilizzo dei virus fatti in laboratorio, rappresentano un’importante e validissima linea di ricerca in ingegneria genetica nella prospettiva di riuscire a curare e modificare addirittura il genoma in alcune malattie genetiche.

D: Secondo la sua esperienza e valutazione in termini sanitario-sociali (anche socio-sanitari) a fronte della gestione della pandemia Covid-19 vi è una gestione asimmetrica, differenziata e/ discriminatoria fra regioni del nord e del sud Italia?
R: L’asimmetria dell’assistenza sanitaria esiste ed è data sicuramente dalla maggiore storica efficienza delle strutture sanitarie del nord , basta pensare alla storica migrazione dei malati dal sud al Nord. Questa però avviene generalmente più per malattie cosiddette di “elezione”, e spesso anche presso strutture private, laddove in caso di malattie acute e di “Pronto soccorso” forse nel sud per ragioni storiche e sociali si è sviluppata una migliore Cultura dell’Emergenza che oltre che attrezzature può contare anche su una maggiore capacità d’improvvisazione e di una maggiore creatività, basti pensare all’uso , per fortuna prima che ne venga validato l’uso ufficiale, del farmaco anti-artrite reumatoide il Tocilizumab che si è rivelato efficace nei malati da Covid19 più gravi.

D: .L’U.E. dovrebbe avere dirette e chiare competenze socio-sanitarie e/o sanitario-sociali?
R: Certo in una vicenda come questa sarebbe stata auspicabile una maggiore coesione ed alleanza tra i Paesi della UE , che avrebbero inciso molto positivamente nell’indicare linee-guida per provvedimenti comuni e non dissimili nell’affrontare sia le scelte sociali che sanitarie. La stessa coesione ed unione più volte che è stata richiesta da più parti per un esercito “unico” europeo, utili a combattere una guerra comune, per non disperdere energie, risorse che possono essere sommate tra loro e ed essere moltiplicate positivamente e virtuosamente.

Domenico Condurro
presidente Ans Campania


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