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Licenziamento o dimissioni volontarie?

L’onere della prova della risoluzione del rapporto di lavoro spetta al datore di lavoro o al dipendente?
del 12/02/19 -

La legge stabilisce che il licenziamento debba essere necessariamente intimato in forma scritta. Non richiede per forza una raccomandata, una email, una pec, non richiede neanche un foglio di carta consegnato a mani e controfirmato dall’interessato. L’importante è che sia «scritto». Naturalmente, a dover dimostrare di aver rispettato tale forma è il datore di lavoro. 

A chi spetta l’onere della prova sulla illegittimità della risoluzione del rapporto di lavoro? In altri termini è il datore di lavoro a dover dimostrare che il dipendente non si è più presentato volontariamente in azienda, per ciò rassegnando – seppur tacitamente – le proprie dimissioni oppure è il dipendente a dover provare di non essere più andato a lavorare perché licenziato verbalmente?

Secondo la Cassazione l’onere della prova spetta all’azienda. Secondo la Corte (Cass. sent. n. 8927/15 del 5.05.2015, n. 4241/15; cfr. anche Cass. sent. n. 14202/2018 e Cass. sent. n. 19236/2011), se il dipendente sostiene di essere stato licenziato oralmente mentre il datore si difende sostenendo che, piuttosto, è stato il lavoratore ad essersi dimesso spontaneamente o a non presentarsi più sul posto di lavoro (risultando in tal modo assente ingiustificato), l’onere della prova grava su quest’ultimo ossia sul datore. Quando il lavoratore sostiene di essere stato licenziato oralmente e fa valere in giudizio l’inefficacia o l’invalidità di tale licenziamento, egli deve solo dimostrare di essere stato estromesso dal rapporto. Al contrario, spetta al datore di lavoro fornire la prova contraria, ossia dimostrare che c’è stato l’abbandono del posto da parte del prestatore d’opera.

L’azienda non può contestare al dipendente assente per molto tempo dal luogo di lavoro di essersi dimesso tacitamente ossia per “fatti concludenti”. Per procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro per dimissioni è necessaria una chiara volontà espressa dal dipendente in tal senso. Secondo la Corte la nostra legge prevede solo due forme di recesso dal contratto di lavoro:

> il licenziamento che parte da una volontà espressa dal datore, per una contestazione mossa al lavoratore;
> le dimissioni che partono da una volontà espressa dal lavoratore.

La seconda tesi della Cassazione è quella opposta: è il dipendente a dover dimostrare che la risoluzione del rapporto di lavoro è avvenuta a causa di un licenziamento verbale. Ed è a questo orientamento che aderisce oggi la Cassazione.

Secondo la Corte, la semplice cessazione nell’esecuzione delle prestazioni non prova l’esistenza di un licenziamento orale. Nel caso di incertezza sulle cause di scioglimento del rapporto, pertanto, il giudice deve respingere la domanda del dipendente che non ha dimostrato il fatto costitutivo della sua pretesa.

Sintesi estrapolata da un articolo pubblicato sul sito lalaggepertutti.it



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