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Legge 104: la Cassazione sul diritto del caregiver al trasferimento

Per la Suprema Corte, la scelta di una sede di lavoro più vicina al familiare da assistere è consentita non solo all'inizio, ma anche durante lo svolgimento del rapporto di lavoro
del 14/03/19 -

Il lavoratore che assiste una persona disabile, ai sensi della L. n. 104/1992 (c.d. caregiver), avrà diritto al trasferimento in una sede più vicina al domicilio dell'assistito. La possibilità di scegliere di lavorare più vicino al familiare da assistere, infatti, non vale solo all'inizio, ma anche durante lo svolgimento del rapporto di lavoro e a seguito di domanda di trasferimento.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nell'ordinanza n. 6150/2019

A seguito di domanda di trasferimento, un lavoratore aveva chiesto di poter scegliere la sede di lavoro più vicina al Comune presso il quale era domiciliata la sorella, necessitante di assistenza. Diritto che gli era stato riconosciuto dalla Corte d'Appello, difformemente dal primo che giudice, che aveva dunque ordinato alla datrice di lavoro il trasferimento del dipendente presso una sede, tra quelle disponibili, in prossimità del suddetto Comune.

Il giudice ha ritenuto integrati sia il requisito soggettivo, cioè la condizione di handicap grave della sorella del ricorrente, sia il requisito oggettivo della disponibilità di posti per lo svolgimento delle mansioni di recapito in uffici vicini alla residenza del predetto familiare.

Dal punto di vista letterale, la disposizione in esame non contiene un espresso e specifico riferimento alla scelta iniziale della sede di lavoro e risulta quindi applicabile anche alla scelta della sede di lavoro fatta nel corso del rapporto, attraverso la domanda di trasferimento.

Il diritto alla salute psico-fisica, comprensivo della assistenza e della socializzazione, va dunque garantito e tutelato, al soggetto con handicap in situazione di gravità, sia come singolo che in quanto facente parte di una formazione sociale per la quale, ai sensi dell'art. 2 Cost., deve intendersi "ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico", ivi compresa appunto la comunità familiare.

Sintesi dell’articolo pubblicato sul sito studiocataldi.it redatto dall’Avv. Lucia Izzo



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