La storia delle materie plastiche

La creatività dell'uomo si è spinta a realizzare nuovi materiali che non esistevano in natura: a partire dagli anni '60, la plastica è entrata prepotentemente nella nostra vita quotidiana, proponendosi come un materiale versatile e soprattutto economico.
del 23/03/17 -

Con il nome di materie plastiche si indicano numerosi prodotti organici, sintetici o naturali, che presentano una notevole plasticità in determinate condizioni e possono essere più o meno facilmente modellati, generalmente sotto l'azione del calore o di pressione.

L'attuale denominazione di "materie plastiche" è preferibile rispetto a quella di "resine sintetiche", usata fino a qualche anno fa per l'analogia di alcune di esse con le proprietà delle resine naturali. Sarebbe comunque più esatto riferirsi a questi materiali con termini quali: sostanze macromolecolari, polimeri, polimeri plastici, plastomeri. Tutti termini che descrivono meglio la struttura che li costituisce.

Alla realizzazione degli attuali polimeri plastici hanno contribuito in modo determinante le ricerche nel campo della fisica, della chimica e della biologia degli altopolimeri naturali, quali gomme, resine, cellulosa, e delle fibre tessili di origine animale e vegetale.

Metodi ottici e radiografici hanno permesso di conoscere gli aspetti strutturali di tali sostanze, quali quelle della cellulosa e della seta, forme amorfe, e la possibilità di alcuni materiali di passare dall'uno all'altro tipo di struttura, in funzione ad esempio dello stato di sollecitazione o delle variazioni di temperatura.

La parola polimero venne usata per la prima volta nel 1833 dal chimico svedese Berzelius. Nel 1869, i fratelli americani John e Isaac Wesley Hyatt ottennero il primo esempio di polimero qualificato detto "celluloide", partendo dal polimero naturale detto cellulosa, attraverso la miscelazione a caldo e sotto pressione di due parti di nitrocellulosa con una parte di canfora.

Nel 1884, il francese H. De Chardonnet brevettò il procedimento di produzione di una fibra derivata dalla nitrocellulosa in grado di sostituire i filati di seta.

Gli sviluppi in questo campo si susseguirono con le scoperte di varie materie plastiche e, nel 1905, venne ideata la "bachelite", che prende il nome da quello del suo scopritore, L.H. Baekeland, e che, ottenuta per condensazione del fenolo con la formaleide, fu usata inizialmente come sostituto della gommalacca nelle vernici per usi elettrici. In seguito fu impiegata, e lo è ancora, come resina termo-indurente nella realizzazione di manufatti e di elementi per apparecchiature elettriche.

Nel 1928 furono sviluppate dal chimico americano W.H. Carothers le resine poliammidiche, ma solo nel 1940 vennero prodotte alcune importanti sostanze di policondensazione di diammine con acidi bicarbonilici e le poliammidi del caprolattame.

Nel frattempo, venivano messi a punto anche i processi di polimerizzazione dell'etilene, che avrebbero consentito di produrre su scala industriale il polietilene di alta intensità e il suo derivato fluorurato, dotato di notevoli proprietà di resistenza al calore.

Già agli inizi degli anni Quaranta era cominciata la produzione industriale di polimeri silico-organici, noti con il nome di siliconi, e di quelle resine epossidiche ancora oggi usate nella realizzazione di colle ad alta resistenza.

Al premio Nobel G. Natta si deve nel 1954 la scoperta del propilene isotattico, primo rappresentante della famiglia dei polimeri stereoregolari sintetizzati dall'uomo. La possibilità di realizzare una struttura cristallina nella polimerizzazione dell'etilene, per mezzo di una particolare conformazione molecolare contenente sequenze di carboni terziari, aprì enormi possibilità di sfruttamento di alcuni prodotti dell'industria petrolchimica disponibili in grande quantità a basso costo.

Nel corso degli anni Sessanta si ebbe, infine, la preparazione industriale dei policarbonati, delle resine acetaliche, dei poliammidi e delle resine polisolfonammidiche.



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