La danza classica davanti alla macchina da presa

Dalla nascita del cinema, nel 1895, i primi registi hanno sempre trovato nella danza un soggetto più che interessante per sviluppare le proprie ricerche.
del 26/03/15 -

La ragione, per la fase iniziale della storia del cinema, è abbastanza chiara: la danza è l'arte del movimento per eccellenza, ed il cinema deve la propria esistenza alla riproduzione del movimento stesso – anche se spesso dimentichiamo che il movimento cinematografico non è reale e trae origine da un'illusione ottica.

Questa vicinanza teorica avrebbe comunque dato dei frutti concreti: i primi a dedicarsi alla danza furono infatti i fratelli Lumiere che, nella loro bulimia documentaria, ripresero alcuni momenti della “danza serpentina” di Loïe Fuller. Non furono i soli a ritrarre la danza degli inizi del XX secolo, ma furono sicuramente loro a registrare la prima testimonianza cinematografica della danza classica, con un girato del 1895 dal titolo Pas de deux che, purtroppo, non ci è pervenuto.

Il più antico girato integrale di un balletto, invece, si deve ad un grande genio del cinema francese delle origini, Georges Méliès – per intenderci, il regista di Viaggio nella Luna. Nel 1897, il poliedrico cineasta gira Danse au Serail, un fantasmagorico balletto che diventa oggetto dei primi esperimenti tecnici (montaggio, macchine teatrali, trucchi ottici) che caratterizzavano il cinema di Méliès. Seguirà anche La lanterne magique, nel 1903.
Durante i primi decenni del Novecento, comunque, a parte qualche piccola eccezione, il cinema si interesserà alla danza solo in funzione della portata documentaristica del mezzo: un modo per fissare una determinata espressione e garantirle una testimonianza anche in futuro. La ripresa è quasi sempre naturale, fedele, e distaccata.

Molti, fra cui anche Isadora Duncan, Alice Guy e Peter Elfelt, lavorano in questo senso.
Occorre però fare attenzione ad un dettaglio importante: non mancano certamente in questo periodo film dedicati alla danza in generale. È invece più difficile trovare documenti che si concentrino in particolare sulla danza classica. Per quanto riguarda invece le avanguardie e la nascita della danza moderna, soprattutto in virtù dell'interesse che queste campi di ricerca nutrivano per i nuovi ritrovati tecnologici, i girati non scarseggiano e costituiscono un preziosissimo archivio di studio.

Bisognerà dunque attendere gli anni Quaranta per trovare un importante lavoro di Renè Chanas, dal titolo Symphonie en blanc, sulla coreografia della danza classica e sul suo rapporto con lo spazio scenico. Un'importante documento italiano è invece Passo d'addio, di Giorgio Ferroni (1941).
Da qui in poi, complice l'innovazione tecnica del mezzo cinematografico che era ormai entrato nella fase matura, vedremo comparire sul grande schermo sempre più momenti dedicati alla danza classica e al balletto. Il grande passo in avanti, in questo senso, è dato dall'integrare la danza all'interno di una narrazione e non semplicemente limitarsi a documentarla.

Uno dei primi grandi classici che propongono tale nuova visione è sicuramente Scarpette rosse (1948), che racconta il dramma di una ballerina divisa fra l'amore per un uomo e quello per il palcoscenico. Dello stesso regista – Michael Powell – è anche il successivo I racconti di Hoffmann (1951), una trasposizione cinematografica dell'omonima opera di Offenbach.

Il primo a calare la danza classica in un un contesto ben più cupo, invece, è naturalmente Dario Argento con il suo Suspiria (1977): idea che in qualche modo viene ripresa anche da un film molto più recente, di grande bellezza ma di forte impatto emotivo – Black Swan (2010).

Molti altri grandi classici contestualizzano la danza di fronte alla camera da presa. Spesso, come si vede, l'attenzione è incentrata sul danzatore e sulla sua storia: pensiamo al famosissimo White Nights – Il sole a Mezzanotte (1985), Billy Elliot (2000) o a The Company (2003).

Ultimamente, infine, stanno sorgendo diversi festival dedicati alla danza nel cinema. Questo fatto testimonia che l'attenzione verso il ballo, nel mezzo cinematografico, è tutt'altro che in declino e anzi – in particolare dopo il bellissimo film di Wim Wenders dedicato a Pina Bausch, Pina – sembra conquistare una fetta di pubblico molto più ampia di quanto ci si sarebbe aspettato fino a pochi anni fa.



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