Iscrizione del socio nella Gestione Commercianti: alcune precisazioni sul concetto di prevalenza

Iscrizione nella Gestione Commercianti e obbligo contributivo del socio: i dubbi della giurisprudenza sul concetto di prevalenza del lavoro prestato.
del 11/03/20 -

La domanda non è certamente rivolta agli operatori del settore, bensì ad una giurisprudenza, soprattutto di legittimità, sempre più ondivaga che, dopo 7 anni dall’”esordio” dell’Operazione Poseidone, non è ancora riuscita a stabilire con certezza le caratteristiche che deve possedere il lavoro del socio affinché scatti l’obbligo contributivo nella Gestione Commercianti.

In giurisprudenza, ad oggi, è infatti dubbio se l’obbligo contributivo del socio nei confronti della Gestione Commercianti scatti laddove il lavoro prestato dal medesimo all’interno dell’impresa sia prevalente rispetto agli altri fattori produttivi dell’impresa oppure rispetto alle altre attività esercitate dal socio. È dubbio, quindi, se il concetto di prevalenza vada inteso in senso oggettivo (riferendosi, cioè, agli altri fattori produttivi) oppure in senso soggettivo (riferendosi, cioè, alle varie ed eventuali attività lavorative effettuate dal socio). Da ultimo, infatti, si registra la sentenza n. 28434 del 5.11.2019 pronunciata dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione che, nel verificare la legittimità dell’iscrizione di un socio - amministratore di una società commerciale nella Gestione Commercianti, ha avuto modo di interpretare il concetto di “prevalenza”, aderendo a quella giurisprudenza - oggi maggioritaria - che compara il lavoro con gli altri fattori produttivi dell’impresa per verificarne la prevalenza.

Come noto, l’art. 1 della L. 1397/1960 prevede l’obbligo dell’iscrizione alla Gestione Commercianti per gli esercenti di piccole imprese commerciali in presenza di quattro requisiti, fra i quali rientra la partecipazione personale al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza (lett. c). Ed è proprio su questo concetto di prevalenza che la giurisprudenza ha mostrato tutte le sue incertezze, non riuscendo a fornirne un’interpretazione univoca. Il problema non avrebbe dovuto nemmeno porsi, laddove la giurisprudenza di legittimità successiva si fosse uniformata alla sentenza n. 3240/2010 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che - dopo un breve excursus storico normativo della Gestione Separata e della Gestione Commercianti - interpretò il concetto di prevalenza riferendolo agli altri fattori produttivi dell’impresa. Dopo tale pronuncia, altre hanno aderito a tale orientamento, ribadendo la necessità di valutare il carattere della prevalenza rispetto agli altri fattori produttivi - naturali, materiali e personali - dell’impresa (fra tutte, Cass. 26 agosto 2016, n. 17370; Cass. 30 dicembre 2016).

Altre, invece, discostandosi diametralmente dalle Sezioni Unite, hanno ritenuto che il requisito della prevalenza debba essere inteso facendo riferimento alle attività lavorative espletate dal soggetto e non già comparando l’attività lavorativa con tutti gli altri fattori produttivi dell’impresa (Cass. 04 maggio 2018, n. 10763; Cass. 19 luglio 2018, n. 19273; Cass. 21 febbraio 2017, n. 4440). Con la pronuncia in commento, infine, la Corte di Cassazione aderisce nuovamente al primo orientamento, effettuando una comparazione fra il lavoro del socio e gli altri fattori produttivi dell’impresa. Ad avviso di chi scrive, sembra giunto il momento di sperare in un nuovo intervento delle Sezioni Unite che faccia chiarezza una volta per tutte: gli operatori del settore e, in particolare, i consulenti del lavoro che devono decidere se iscrivere o meno un soggetto alla Gestione Commercianti, devono poter consigliare con “cognizione di causa”, consapevoli di quali elementi valutare e comparare, senza successivamente rischiare di esporre il cliente a pretese creditorie dell’INPS la cui fondatezza o infondatezza dipende esclusivamente dall’orientamento di un particolare magistrato.



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