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Il Frosinone e la poesia di Cremaschi e Santarelli

Quando una foto diventa poesia...
del 22/12/17 -

GLIEROIDELCALCIO.COM (Federico Baranello) –

Un attimo consegnato all’eternità: questa è la forza di una fotografia, rendere eterno un momento che altrimenti sarebbe volato via. E’ il caso di questa “vecchia” foto dove due calciatori esultano verso i propri tifosi. Due calciatori che, con le maglie nei pantaloncini, risultano essere eleganti e composti. Pantaloncini che all’epoca erano molto corti, sopra gambe allenate e “toste”. Scarpini neri. I due atleti urlano di gioia mentre un fotografo, anch’esso urlante, li guarda e in mano stringe una Rolleiflex. Il terreno di gioco, almeno in quella zona, non sembra in buone condizioni: zolle, erba e terra si alternano in modo confuso. Il filo spinato sulla rete divide tifosi e campo di gioco e conferisce alla scena un sapore quasi da zona di “guerra”. I cappotti coprono corpi infreddoliti. Poi sullo sfondo palazzi, finestre e balconi. In alto a destra un campanile in lontananza sovrasta la zona.  

E’ una foto ma sembra un dipinto. Potrebbe essere un quadro o una tela. Sicuramente un capolavoro da incorniciare. Potrebbe essere il quarto pannello dell’Albero della vita di Gustav Klimt.
Qualche mese fa ci siamo imbattuti per caso in questa foto. L’abbiamo “salvata” senza sapere cosa farci. Poi abbiamo scoperto che ci faceva piacere vederla di tanto in tanto. Foto come queste, per chi ama il calcio, sono poesia allo stato puro. Una poesia che segna il tempo che è passato, ci dice che quel calcio lo abbiamo vissuto. Ci dice che il calcio è cambiato. Ci dice che non siamo più giovani.
Questa immagine ci comunica che siamo alla fine degli anni ’70 e il campanile in questione, che vigila sulla città, è quello di Santa Maria Assunta di Frosinone. Il campo di gioco è il vecchio Matusa. La squadra è ovviamente il Frosinone e il calciatore più vicino alla “ramata”, quello che ha appena “gonfiato” la rete, è Cremaschi, Bernardino Cremaschi. Si proprio lui, Il “Grande Blek”.

Lui è quello che ha appena segnato, che ha raggiunto la rete sulla quale sembra volersi aggrappare per scavalcarla. Urla la sua gioia davanti i suoi tifosi. Un bomber vive per questi momenti. E’ il momento in cui ogni sforzo fatto non si sente più. Non si sente lo sforzo compiuto in settimana durante gli allenamenti, non si sente lo sforzo profuso sino a quel momento della gara. Non si sente nemmeno quella corsa in preda alla follia per esultare. Nemmeno lo sforzo dell’urlo si sente. Il tutto si farà sentire subito dopo, mentre si ritorna a centrocampo. Un attaccante vuole arrivare ad attaccarsi a quella rete qualsiasi sia la categoria in cui si gioca. Dall’altra parte non si vedono visi ma si scorge e percepisce la partecipazione: mani che cercano l’attaccante. Giovani e meno giovani sono avvolti da cappotti. Fa freddo, ma questo è il centro del mondo. Improvvisamente fa caldo.

Dietro un numero “Undici” che sorregge Cremaschi e sembra accompagnarlo dolcemente verso quell’elevazione, verso il mondo esterno, oltre la rete. Un mondo delimitato da quel filo spinato sulle teste di tutti. Una maglia, la numero undici, che mostra i segni delle “sportellate”, dei capitomboli. I numeri sono intrisi dal sudore e dalla polvere.

Quel numero “Undici” è Paolo Santarelli, indimenticato e indimenticabile cannoniere del Frosinone tra gli anni ’70 e ’80: “Io e Dino eravamo grandi amici…” ci confida Santarelli ricordando Cremaschi, “…il nostro rapporto andava oltre l’essere semplici compagni di squadra, le nostre famiglie si frequentavano. Io ero più giovane e lui a fine carriera. Lui del 1945 e io del 1954, nove anni di differenza. Un grandissimo attaccante, forte anche di testa. Bravo anche di sponda con la quale spesso mi mandava in porta. E proprio questo mi diceva…stammi vicino che di sponda ti faccio segnare… Una bella persona, un uomo leale”.
E’ una bella voce quella di Santarelli, altro attaccante di razza, una voce che si emoziona a raccontare di un calcio che non c’è più. Il suo calcio. Il suo amico e compagno di reparto Dino. “Ricordo bene questa foto, questo momento” continua Santarelli “Frosinone – Fulgorcavi dell’8 febbraio 1976. Partita finita 1-0 con quella rete di Dino. Partita sempre molto sentita in serie D. Non ricordo cosa volessi fare, se sollevarlo se abbracciarlo. Che tempi. Rivedere questa foto e questa maglia mi emoziona”.
La maglia esprime l’attaccamento ai colori per chi come noi ci crede. Quelle anni ’70, in lanetta poi, vanno oltre il sentimento, hanno un fascino insito. “Il fotografo vicino a noi nella foto” aggiunge Santarelli, “è Salvatore Palmesi, il fotografo di Corso della Repubblica. Una famiglia di fotografi ancora attivi in città”.

La foto in questione è emersa dall’archivio fotografico di Maurizio Barnaba, giornalista e tifoso dei Canarini che, postandola su facebook qualche tempo fa, ha contribuito a farla uscire dall’anonimato di un cassetto e renderla pubblica.
Grandi maestri ci hanno fatto capire la differenza tra la pittura e la fotografia: nella pittura puoi fare delle modifiche o addirittura ricominciare. Nella foto il momento fondamentale è quando si preme il clic. Subito dopo, quel momento, non c’è più… svanito. O lo hai nella tua fotocamera o lo hai perso per sempre.

Ma a volte la magia può ripetersi…dopo circa 40 anni, dopo Cremaschi e Santarelli, nello stesso luogo ecco Paganini e Blanchard.
La poesia trova modalità infinite per rivelarsi.



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