Google ci legge nel pensiero? Seconda parte

Completiamo quanto iniziato nello scorso articolo: se l’altra volta poteva sembrarti complicata la comprensione dei concetti esporti, stavolta sarà anche peggio… Ma no, continua a leggere e ne scoprirai delle belle!
del 03/05/17 -

Localizzazione, una funzione utile in viaggio

Riprendiamo in modo immediato da dove eravamo rimasti nel precedente articolo. Anche la localizzazione di una ricerca, naturalmente, è un tipo di contesto, ma merita di essere trattata separatamente rispetto agli altri analizzati. Tutti sappiamo quanto il posizionamento geo-localizzato (quindi in risposta a keyword contenenti località specifiche) sia particolarmente importante per le aziende che cercano di ottenere un ranking importante, a livello locale, per i propri siti web.

Ma l’uso che Google fa del posizionamento per perfezionare la query sta crescendo ben oltre il suo stato attuale… Da parecchio tempo ormai, se digiti “Esselunga”, o altre query indicanti un interesse per un luogo connesso strettamente al business, Google ti mostra il “pacchetto locale”, regolando i risultati di ricerca per trovare il luogo specifico che stai cercando. Il passo avanti è che Google può esaminare i modelli di query e associarli a luoghi che si trovano vicini alla posizione dell’utente: ciò significa che se gli si chiede “a che ora apre l’Esselunga?” o anche “come si chiama questo parco?” mentre il luogo a cui ci si riferisce è inequivocabilmente vicino, Google sarà abbastanza intelligente da dare la risposta. Fenomenale no? Così, la prossima volta che si passa da un ristorante, facciamo finta che si chiami “Zio Carlo”, potremo chiedere a Google “nessun voto per questo posto?”.
La query sarà trasformata in qualcosa di simile a “feedback Zio Carlo” ottenendo una pronta risposta: una funzione molto utile, pensa ad esempio a chi è in vacanza e non conosce l’effettiva pronuncia del nome ingarbugliato di un ristorante. Già, ma cosa c’entra tutto ciò con la SEO? Beh, l’essenza stessa della SEO nel prossimo futuro è legata al perchè Google sta implementando questa funzionalità: per diventare motore di risposta, e non più solo motore di ricerca, e consentire quindi agli utenti di interagire in modo più comodo e naturale con il sistema di ricerca. Ciò significa che più informazioni utili forniremo, maggiori probabilità avremo di essere “scelti” nelle proposte all’utente. E così, quando le persone cercherenno “mostra piatti pranzo” nei dintorni di 5 ristoranti, se sarai stato bravo da pubblicare il tuo menu in modo preciso e tecnicamente ineccepibile, la magia si compirà. E gli altri resteranno a bocca asciutta.

Un vocabolario di dati per affinare la ricerca

Concentriamoci ora sulle condizioni di sostituzione e i sinonimi per affinare le ricerche. Il processo messo in atto da Google include l’identificazione di un concetto nella query dell’utente ed il tentativo di capire se lo stesso concetto può essere formulato in modo diverso (senza distorcere il significato della query), per fornire risultati di ricerca più adatti e ritenuti più inerenti alle associazioni con le pagine web indicizzate. Per vedere come funziona questo ulteriore meccanismo, fai una ricerca su Google per “presidente Regno Unito”. Se Google associasse semplicemente i propri dati alle due parole “presidente” e “regno unito”, i risultati potrebbero includere articoli sui presidenti di altri paesi in visita nel Regno Unito. Invece esso comprende che l’utente probabilmente è alla ricerca di un diverso tipo d’informazione, e la parola “presidente” è in realtà un errore che ha fatto l’utente, in luogo delle parole “Primo Ministro”. In tale contesto, “Primo Ministro” è sinonimo di “presidente”; combinata con “UK”, la ricerca porta a un’entità conosciuta. Ciò lo rende un buon termine di sostituzione e viene quindi selezionato come query effettiva e raffinata. Questo concetto, non semplicissimo da approfondire, è noto come word2vec. Nella SEO, esso viene spesso identificato nell’algoritmo RankBrain di Google: cerchiamo di capire un attimo come funziona.

RankBrain e word2vec

Lo strumento word2vec prende un corpus di testi come input e produce parole-vettori come output. Costruisce dapprima un vocabolario prendendo i dati di formazione del testo, e successivamente apprende la rappresentazione vettoriale delle parole. Il risultante file parola-vettore può essere utilizzato in molte applicazioni di elaborazione del linguaggio naturale e di apprendimento automatico. Prima di elencare i pro e i contro di word2vec, facciamo chiarezza su un punto: i SEO più esperti hanno sentito spesso parlare di vettori-termine e spazio vettoriale. Mentre questi concetti sembrano complicati, tanto da richiedere forse un corso di calcolo per poterli cogliere pienamente, le singole visualizzazioni sono in realtà sorprendentemente comprensibili. Consideriamo questo semplice esempio: diciamo che si ha una serie di termini che è necessario dividere in due gruppi, “ortaggi” e “carne”. Non tutte le parole da classificare indicano un vegetale o un tipo di carne, ma bisogna comunque raggruppare le parole che ricorrono più frequentemente nel contesto carne (ad esempio “affumicato” nel cluster “carne”), e lo stesso per il contesto ortaggio.

Ora (lo so, si sta facendo difficile la questione…), devi pensare ad una rappresentazione grafica di questi vettori, dove da un lato abbiamo i termini dell’area “ortaggio” e dall’altro quella dell’area “carne”: vicino alla linea “di confine” (al centro), ci sono i termini più neutri, man mano che ci avviciniamo ai due estremi (ortaggio e carne) i termini sono sempre più riconducibili ad essi. Perchè devi pensare a questa rappresentazione? Perchè il processo word2vec identifica anche le relazioni tra i diversi termini calcolando, all’interno del grafico rappresentato, la distanza fisica dei loro vettori: minore è la distanza, maggiore è il legame tra essi. “Tagliare” e “bistecca” saranno vicini tra loro, ad esempio.

Ora arriviamo finalmente al succo del discorso: word2vec somma i vettori tra di loro, e ne sottrae un altro alla somma. Esempio: l’equazione Roma – Italia + Cina sarebbe uguale a Pechino. Secondo il word2vec, questo è esattamente il vettore per la domanda “qual è l’entità che con Cina ha lo stesso rapporto che c’è tra Roma e Italia?” o, semplicemente, “Qual è la capitale della Cina?”.

Come viene usato questo processo da Google? Ecco un esempio di come word2vec viene utilizzato per l’elaborazione delle query. Supponiamo tu non ricorda la parola “alluce”: digiti quindi “pollice piede” su Google, che capirà grazie ai vettori che il termine “pollice” è in realtà una parte del concetto “mano”, modificando la query nel vettore discorso “piede + pollice – mano”, e andrà a cercare il pezzo mancante di questa associazione. Che, guarda caso, è proprio quello che stavi cercando, ovvero “alluce”.

Nella SEO, questa tipologia di analisi è il futuro: invece che posizionarsi su keyword ormai troppo inflazionate, perchè non prendere in considerazione definizioni alternative che l’utente potrebbe ricercare?

Entità e parole finali

Le entità sono oggetti specifici che Google conosce, come le persone, i luoghi e le cose. Un’azienda, una celebrità o un monumento possono essere entità. La cosa che forse ignori è che Google sa molto su di loro, permettendo agli utenti di trovare immediatamente un’informazione specifica: la ricerca di qualcosa che Google considera una proprietà di una certa entità produrrà risultati di ricerca su tale entità. Ad esempio, “la più grande città del mondo” sarà trasformata in “quale entità ha la proprietà unica di essere la più grande città del mondo?”, per poi fornire come risposta l’entità di Tokyo. Allo stesso modo “CEO di Google” abbinerà Sundar Pichai. Se si cerca “Palermo da calogero”, a patto che non si sia mai eseguita prima questa ricerca, si otterrà un numero variegato di imprese: il bar di Calogero, pub di Calogero, caffè di Calogero e la pizzeria di Calogero… Ma quando farai click su uno di questi risultati, Google memorizzerà questa entità come la preferita nel contesto della ricerca. Così, quando si esegue nuovamente una ricerca simile, l’entità preferita probabilmente comparirà in cima ai risultati, mentre altre entità potrebbero addirittura essere eliminate del tutto dalla SERP.

In conclusione:

Google sta diventando sempre più intelligente, quasi come una mente umana, se vogliamo esagerare un pelino… Più intelligente nel comprendere il significato delle parole chiave, nel riformularle e nel produrre i migliori risultati di ricerca. Puoi prendere questa notizia come buona o cattiva, ma c’è poco da fare, a parte assecondarlo… Ormai i risultati in SERP non sono soltanto una combinazione di query e ranking, ma la conseguenza di perfezionamenti continui. Google modifica le keyword per catturare il vero intento dell’utente, in modo da rispondere meglio, e questo processo può essere diverso anche per la stessa query nel tempo (nel capitolo primo facevamo l’esempio della primavera).

Quanto tutto ciò impatta sulla tua strategia SEO? Forse oggi ancora poco, ma credimi, tra non molto sarà vita dura per i SEO…



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